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Mercoledì11 giugno alle ore 18,00 presso la Mediateca regionale pugliese, in via Zanardelli,30 a Bari, Nicola Mascellaro torna a parlare del suo libro ‘Quando andavamo al cinema’ edito dalla Di Marsico Libri.

Un viaggio ricco di immaginie fatti inediti nel variegato mondo del cinema e dei cinematografi della città durante i primi cinquant’anni del secolo scorso.

Seguirà un dibattito con l’Autore che accompagnerà i partecipanti nella Bari ‘fuori dalle mura’.
Sapete quando arrivò il cinematografo a Bari? Esattamente un anno prima che venisse inaugurato il Politeama Petruzzelli – la sera del 14 febbraio 1903 – con “Gli Ugonotti” di Meyerbeer. Eravamo, dunque, agli albori del “secolo breve”, quando, nella primavera del 1902, venne tirato su, con tavole di legno, un padiglione rettangolare senza tetto, che aveva un particolare strano: era privo di palcoscenico, e al suo posto sfoggiava un grande telo quadrato. Era completamente muto quel cinema, ma ciononostante riuscì a conquistare egualmente entusiastiche platee che, a conclusione di una serie di “quadri”, non lesinavano applausi alla “diavoleria tecnica” del Novecento, le cui scene – vive, reali, avvincenti –  pur prive di sonoro,mandavano in visibilio grandi e piccini. Come, ad esempio, la sbuffante locomotiva che, avvicinandosi velocemente alla stazione, dava l’impressione di voler travolgere il pubblico degli spettatori.

   Ma chi è questo “deus ex machina” che ci conduce per mano in un nuovo mondo dai misteriosi e suggestivi incanti? E’ un inviato speciale nel passato remoto, di nome Nicola Mascellaro, che, scartabellando a destra e a manca in poderosi archivi – e facendo tesoro della messe di notizie (aneddoti, curiosità, e anche pettegolezzi) emerse dalle ingiallite e polverose carte, è stato in grado di offrirci – in un saggio dal titolo “Quando andavamo al cinema”, edito da Di Marsico libri (pag. 351, euro14) – un ampio ed esauriente panorama in cui ha dato voce ai primi choccanti eventi, ad artisti protagonisti e comparse, che si esibivano, con una gestualità accattivante, nella magica scatola inventata dai fratelli Lumiere.

   Il successo delle sale cinematografiche è attestato dalla loro crescente proliferazione che in breve supera il numero delle macellerie. Sempre più gremite, spesso fino all’inverosimile, anche per i prezzi popolari, esprimono al diapason il gradimento del pubblico. Nascono come funghi, persino negli androni dei palazzi: al “Trianon” segue il “Modernissimo”, l’ “Arena Eden” s’impone come primo cinema-varietà con 166 posti a sedere. E ancora: il “Gran Cinema Cavour”, il “Gran Cinema Oriente”, quest’ultimo nell’alveo di un prestigioso edificio. Lo stesso Teatro Petruzzelli, colto di sorpresa, ricorre alla eclatante decisione,a chiusura della stagione lirica, di aprire le porte all’astro nascente.

   E’ la fiorente e accorta industria americana a impadronirsi di quel filone aureo creando, a tamburo battente, i primi “studios” alla periferia di Los Angeles, in California. Nasce Hollywood, la mecca del cinema mondiale. Gli attori, tutti di proveninenza teatrale, ce la mettono tutta per esprimere, soltanto con l’ausilio della mimica, sentimenti, passioni, perfidi inganni e gelosie. Quasi sempre alle proiezioni di documentari e cortometraggi fa seguito il varietà, la rivista: “spettacolo per soli uomini”.

 Nonostante i limiti del muto, nasce il divismo. Vengono alla luce le prime stelle di questo singolare firmamento. I loro nomi? Tecla Scarano, Primula Veris, Lucy Parisienne, Anna Fougez. Costei – “stellissima dai mille bagliori”- era originaria di Taranto: si chiamava  Maria Annina Papacena Laganà. Tra i suoi cavalli di battaglia “Vipera”, del celebre musicista E.A.Mario, “Guapparia”, “A tazz ‘e cafè”, “Addio mia bella signora”. Al Petruzzelli, nel maggio del 1916, furoreggia ancora una “vamp” del Sud, la napoletana Francesca Bertini, al secolo Elena Vitiello, con “Nelly la gigolette”.

Ma se Hollywood fa faville, non è di meno Cinecittà, voluta da Mussolini. E pur con tutti i limiti delle disponibilità finanziarie rispetto alle “majors” americane, realizza due “kolossal” – “Quo Vadis” e gli “Ultimi giorni di Pompei"Quando” – che susciteranno l’invidia e l’ammirazione dei cineasti francesi e statunitensi per la durata, gli effetti, l’abilità scenografica.  Il Ventennio, ne fa uno strumento di propaganda. E’ l’epoca delle dive dei telefoni bianchi: Alida Valli, Assia Noris, Irasema Dilian; furoreggiano Anna Magnani, i fratelli De Filippo, Totò, Macario, Amedeo Nazzari. E, non ultimo, Vittorio De Sica che otterrà più vasti consensi come regista, grazie al Neorealismo.

   Insomma, fantasia, estro e creatività suppliscono sovente alla mancanza di mezzi; e, con la loro supremazia, fanno piazza pulita di qualsiasi complesso d’inferiorità nei confronti dei Paperoni d’oltre oceano. Di conseguenza, anche sul terreno di gioco della “settima arte” – così definita dal poeta e scrittore di Gioia del Colle, Ricciotto Canudo – il Belpaese non ha rivali e vince la partita!

Su un lato, vicino alla porta d’ingresso, una locandina consunta, che ha già visto altre piazze, annuncia per la sera “spettacoli di quadri cinematografici per tutta la famiglia a prezzi modici”.

Era il cinema ai suoi esordi, quello che il fascio di luce che illuminava la pellicola, quello proiettato su un telo bianco quadrato, con le figure tremolanti e senz’audio, dove i dialoghi bisognava immaginarli.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.