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"guernica"

Milano, Palazzo Reale. Con antichi specchi e finestre scandite da cariatidi di pietra scheggiata,  luogo prezioso sopravvissuto alla fine del mondo, questa stanza dagli stucchi intaccati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale fa da entrata al viaggio nell’arte di Picasso.
La sala delle Cariatidi del Palazzo Reale di Milano, già scelta dal pittore nel 1953 per esporre la sua Guernica, è nuovamente oggi scenario della sua proiezione a grandezza naturale e dell’excursus fotografico attraverso le varie fasi della sua realizzazione.
Si ha l’impressione che nessun altro luogo potrebbe meglio ospitarla, come se ci fosse un legame atemporale tra questo spazio e la grande tela, descrizione di uno dei primi e più duri bombardamenti aerei della Legione Condor nazista contro la popolazione inerme della cittadina basca che dà il titolo all’opera.Tra questo spazio e lei nella quale distruzione,  pazzia e  violenza risucchiano uomini e animali mitologici e dove le pareti intorno specchiano e rimandano le figure dipinte nella loro maestosa e tragica bellezza mentre immobili statue guardano silenziose dall’alto. Così inizia la mostra.

In tutta la sua furia si presenta il Massacro in Corea ispirato al dipinto di Goya ‘Il 3 maggio 1808’, per poi passare ad un’opera funebre che rappresenta il passionale amico Carlos Casagenas suicidatosi per un amore infelice e dove riprende colori e stile di Vincent Van Gogh altro pittore violento nel suo genio e nel suo dolore. Il percorso continua con le creature vinte del periodo blu degli anni giovanili e dove nuovamente si vede l’influsso del grande spagnolo Goya nella Celestina, nome romantico di un personaggio letterario del 1500 che Picasso regala a questa cieca mezzana di Parigi.
Prosegue con il periodo rosa dove , come si può vedere molto bene ne I due fratelli, l’influsso classico e la trasparenza molto profonda nel rappresentare i bambini quasi ferisce per come ne denuda la grazia tutta greca dei corpi unita all’estrema fragilità insieme esteriore e interiore.
In Paul come Arlecchino suo figlio fanciullo vestito in maschera cosi’ come nel ritratto della moglie ballerina, Olga Khokhlova,  questa grazia e questa tenerezza non diventano mai stucchevoli o pompose anche per la grande intuizione estremamente moderna di ‘non completare l’opera’ ma lasciare parte dello sfondo e della figura solo accennate e in via di lavorazione, espediente che permette di evitare letture accademizzanti e stucchevoli del periodo classico dell’artista dove egli si rifà ai grandi maestri come Ingres ma soprattutto Velàzquez con in primo piano Las meninas in cui il pittore del 17esimo secolo ritrae l’infanta Margarita, figlia della allora regina di Spagna, circondata dal suo mastino e la sua nana. Nella contrapposizione con l’animalità e il grottesco la fanciulla mostra tutta la delicatezza e la regalità propria dell’infanzia.
Dopo il salto in avanti agli anni ’20 torniamo alle sperimentazioni che seguirono il periodo dei toni lievi del rosa, dove, come possiamo vedere ne Les demoiselles d’Avignon, il pittore prende spunto dall’artigianato africano e abolisce la prospettiva e lo spazio percependo la terza dimensione come non visiva ma mentale. Qui ritroviamo la violenza che non si mostra velatamente come nei ritratti dei fanciulli e non è mortifera come nelle prime opere descritte all’inizio del percorso, ma irrompe con tutto l’impeto e la vitalità sensuale di queste nude prostitute di bordello che si mostrano voluttuose all’osservatore.
Il piacere carnale prosegue, come spina dorsale, in tutto il corpo artistico del pittore con La lecture’ ‘Nu couché e anche con l’opera mancante Il sogno esposta a New York, per culminare con le Figures au bord de la mer dove i personaggi sono del tutto trasfigurati dal desiderio e dal piacere erotico. Nella stessa sala d’esposizione,  tra varie sculture,  una ripropone in toto questa metamorfosi: Téte de femme dove si può vedere bene l’analogia tra i tratti facciali e gli organi sessuali .
Picasso amò sempre donne molto più giovani di lui e nell’impeto della vitalità incantevole e ingiusta, dolce e crudele della passione romantica, ne amò molte, tra queste Dora Maar, fotografa, pittrice, scrittrice e poetessa che divenne sua musa negli anni’40, tra i tanti suoi ritratti uno in particolare Portrait de Dora Maar colpisce per la forza dei colori e la spigolosità di linee e forme, volute per rappresentarne l’indole impetuosa e complessa. Dora Maar sarà però nella poetica dell’artista anche il simbolo della donna che piange a causa dei massacri della guerra civile nella Spagna del 1936-39 e della seconda guerra mondiale che ne seguì.
Ma l’arte cubista di Picasso ha un’altra lettura d’importanza storica poichè essa accompagna e sostiene la nascente psicologia moderna di Freud dove l’inconscio fa la sua entrata nella cultura di fine ottocento. Mostrando non solo ciò che si vede davanti ai nostri occhi ma anche quello che c’e’ ai lati e dietro l’immagine in un unico spazio mentale frontale egli smaschera la vita circondandola con uno sguardo a tutto tondo. L’esistenza e’ come un dado tagliato trasversalmente, se lo si guarda da certe angolazioni può sembrare anche completo e semi-perfetto ma una visione dal di sopra o dal lato opposto ne mostra i vuoti, le lacerazioni, le contraddizioni ma anche profondità, ricchezze e risorse non sfruttate perché ignorate o uccise a priori.
Definirei l’opera di Picasso estremamente laica in quanto qui l’anima o lo spirito, dio o l’infinito o come lo si vuol chiamare, è chiuso tra le sbarre dell’umano. Tutto nei suoi quadri è limite, con i suoi contorni forti e scuri il quadro pittorico appare come un insieme di finestre circoscritte da muri ed è proprio grazie a questi recinti che si riesce a vedere ciò che non si potrebbe a cielo aperto. Qui  quando l’uomo muore anche l’infinito muore , quando l’uomo perde anche dio perde.
Al contrario del suo contemporaneo Chagall dove quasi sempre i colori sono sfumati e si librano nell’aria insieme alle case, ai musicisti e persino agli amanti abbracciati  in piroette dantesche, in Picasso tutto è terreno, attecchito alle profondità del suolo e queste radici sono contorte e immensamente espressive e sentite.
Concludo il mio discorso con le parole con le quali lui stesso spiega il suo percorso di uomo e di artista e  ricollega in qualche modo la fine di questa mostra al suo inizio fatto di una superstite Sala degli Specchi: "Quando sento parlare dell’evoluzione di un artista, mi sembra che lo si veda tra due specchi posti l’uno di fronte all’altro che ne riproducono l’immagine all’infinito. Si contemplano le immagini che si susseguono in uno degli specchi come se rappresentassero il suo passato, e quella riflessa nell’altro specchio come se fossero il suo futuro, mentre la sua vera immagine è considerata il suo presente. Non ci si rende conto che si tratta della stessa immagine vista però su piani diversi." Picasso

I capolavori arrivano dal Museo Nazionale Picasso di Parigi.

www.mostrapicasso.it

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.