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Che sia il punto di partenza o quello d’arrivo, il genio di Jackson Pollock è al centro di due grandi mostre sulle avanguardie del ‘900, una inaugurata da pochi giorni alla Guggenheim Collection di Venezia, l’altra in programma dal 7 febbraio a Palazzo delle Esposizioni di Roma. Un atto dovuto per il centenario della nascita del grande pittore statunitense, tra i padri dell’Espressionismo astratto, che con l’Action Painting rivoluzionò l’arte del XX secolo, contribuendo con la sua opera straordinaria al passaggio di testimone dal predomino dell’Europa a quello degli Usa. Oggi i suoi dripping hanno quotazioni stellari, anzi, un suo capolavoro nel 2006 è stato venduto per 140 milioni di dollari stabilendo così il record assoluto del mercato. In vita però, furono molte le polemiche suscitate da quelle astrazioni di colore puro, vigorosamente impresse sulla tela stesa sul pavimento con le mani, il corpo, lasciando gocciolare gli smalti industriali, impastandoli a volta con la sabbia o pezzi di vetro. Genio e sregolatezza, profonda frustrazione, il dramma dell’alcool segnarono un’esistenza drammaticamente breve, interamente vissuta nel segno dell’arte.

Jackson Pollock era nato il 28 gennaio 1912 a Cody, nello Wyoming, dove il padre faceva l’agricoltore. Il più giovane di cinque fratelli, Jackson visse tra l’Arizona e la California e gli capitò di entrare in contatto con la cultura dei nativi americani accompagnado il padre, che era diventato agrimensore alle dipendenze dello stato, durante le numerose rilevazioni. Un’esperienza che segnò il suo periodo formativo, anche mentre studiava alla Manual Arts High School di Los Angeles. Nel 1929 si trasferì a New York e con il fratello Charles divenne allievo del pittore Thomas Hart Benton, che gli trasmise un fiero senso d’indipendenza e l’uso ritmico del colore.

Fu però il grande pittore di murales David Alfaro Siqueiros, durante un seminario nel 1936, a introdurlo all’uso del colore puro, il primo passo per quella dissoluzione della forma che l’avrebbe portato all’astrazione. Mentre sperimentava tecniche di pittura sempre diverse, che l’avevano condotto a eliminare il cavalletto e gli altri stumenti classici, tavolozza e pennelli, dava un’altra svolta alla sua carriera con la relazione con la pittrice Lee Krasner (che sposerà nel ’45) e l’incontro, nel ’42, con Peggy Guggenheim, collezionista e mecenate, dalla quale ricevette un considerevole sostegno fino al 1948, mentre, anche dopo il loro distacco, ne promosse l’opera negli Stati Uniti e in Europa. Fu sempre lei a fornire i soldi a Jackson, appena sposato con Lee, per la piccola casa in legno a Springs (Long Island), dove la coppia si trasferì e dove l’artista perfezionò, nel fienile trasformato in laboratorio, la tecnica del dripping (sgocciolatura), facendo convergere le molteplici suggestioni maturate fino ad allora, da quelle dei murles alla pittura con sabbia dei nativi. Lavorava con la tela appoggiata sul pavimento perchè, diceva «mi sento più vicino al dipinto, quasi come se fossi parte di lui» e mescolava colore, terra, vetro con cazzuole, bastoncini, coltelli. Faceva colare quella materia senza esitazione perchè sosteneva di avere sempre consapevolezza di ogni sua azione. «Il dipinto vive di vita propria. Io cerco di farla uscire». L’action painting si trasformava quindi in una sorta di danza ancestrale per armonizzare il suo progetto interiore con il risultato finale, mai affidato al caso, anche se la sua pittura, scandalizzando i critici, in superficie poteva apparire solo affidata all’istinto.

La fama internazionale arrivò nel ’49 con un servizio dedicatogli dalla rivista Life, che si interrogava se la pittura di Pollock fosse veramente arte. Dal canto suo, la Guggenheim, nonostante la relazione si fosse incrinata continuò a promuoverlo presso le grandi istituzioni internazionali, vendendo e donando molti dei suoi dipinti a musei e collezionisti, tra cui la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e il Museo d’Arte di Tel Aviv. Nel 1950 fu sempre Peggy a organizzare la sua prima mostra in Europa nell’Ala Napoleonica del Museo Correr, a Venezia.

Nei primi anni ’50, la sua arte cominciò a cambiare, puntando su una tavolozza più scura (a volte usando solo il nero) e reintroducendo elementi di carattere figurativo. Sempre in balia dell’alcool e della sua fragilità mentale, Jackson Pollock morì tragicamente in un incidente automobilistico nei pressi dell’abitazione di Springs. Era l’11 agosto 1956, aveva solo 44 anni.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.