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"Oasi
Siwa
, l’oasi al nord dell’Egitto punta estrema verso oriente della diffusione della civiltà berbera – ancor oggi vi si parla il ‘siwì, un dialetto berbero – rischia di perdere per sempre il suo cuore urbano originario, il millenario quartiere di Shali, fatto di un materiale salino che i locali chiamano ‘kershef‘. Esso è infatti sotto minaccia: sia di sciogliersi per la pioggia e per l’acqua che affiora ogni giorno dal sottosuolo, sia di essere trasformato da progetti di restauro con materiali moderni non naturali.

"Certo se vogliamo tutelare il quartiere di Shali, in via di disfacimento a causa del costo eccessivo del kershef, dell’acqua, dei rischi sismici, possiamo senz’altro ricostruirlo di plastica": è stato il provocatorio commento dell’architetto italiano Attilio Petruccioli, docente del Politecnico di Bari, durante la presentazione al Cairo del Progetto Diarcheo – Proposta per uno sviluppo sostenibile dell’Oasi di Siwa, di cui lo stesso studioso è uno dei responsabili. Finanziato dai ministeri italiani degli esteri e dello sviluppo economico, il progetto è gestito da alcune regioni italiane, con capofila la Puglia, e contributi del Molise.

Durante il dibattito il sindaco di Siwa, Samir Belal, si è detto preoccupato degli aspetti economici della sopravvivenza dell’Oasi e del suo centro urbano, che oggi raccoglie tra 15 e 20mila abitanti. "La nostra agricoltura – ha sottolineato – è fortemente ostacolata dall’acqua salina che affiora sempre e richiede un continuo drenaggio per continuare a coltivare. Specie per le palme da dattero".

Se l’amministratore locale è sembrato puntare soprattutto sulle necessità dello sviluppo economico, anche attraverso iniziative di turismo ambientale, ma forse con minor attenzione al piano naturalistico ed estetico, il progettista di Diarcheo ha rilevato che solo la conoscenza della storia e degli elementi naturali dell’oasi e del suo centro urbano può produrre un restauro duraturo e uno sviluppo sostenibile. "C’è un albergo realizzato unendo più case – ha citato Petruccioli – restaurate in modo intelligente e sensibile, e con materiali tradizionali. E’ ovvio, è un costante work in progress, che richiede manutenzione permanente, ma questo è l’unico modo, a nostro avviso, di mantenere il valore economico di un bene culturale che rischia altrimenti di andare perduto per sempre".

L’affermazione ha risposto anche alle sollecitazioni rivolte dal sindaco Belal all’Unesco per l’inserimento di Siwa nell’elenco dei patrimoni culturali dell’umanità da salvare. Il centro urbano di Shali risale probabilmente al primo periodo di stanzialità dei berberi – rilevano l’architetto Calogero Montalbano, anch’egli docente al Politecnico di Bari e l’economista Valerio Tuccini, dell’Unimed, di Roma – e questo ne accresce enormemente non solo il valore storico e culturale, ma anche quello economico. "Siwa si trovava al punto di svolta della via della seta, della via del te e delle carovaniere che provenivano dal centro Africa, dirette verso il Mediterraneo e la penisola iberica" ricordano gli studiosi.

In definitiva, un punto unico di riferimento geografico e antropologico che ha resistito per millenni rischia di andare perduto entro una ventina d’anni se dovessero prevalere le esigenze dell’immediato sfruttamento economico.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.