Tempo di lettura: 8 minuti

"Fiera
Continua il viaggio dedicato alla storia di Bari, descritta dall’appassionato di storia e cultura barese Nicola Mascellaro che da più di trent’anni fotografa questa città e la racconta. Al suo attivo ha diverse pubblicazioni.

Alle otto in punto di venerdì 6 settembre S.E. il Capo del governo, Benito Mussolini, sbarca dalla nave ‘Aurora’ salutato da 20 colpi di cannone e, con fare agile e svelto, prende posto su un veloce motoscafo che lo conduce alla banchina di fronte alla Capitaneria di porto dov’è atteso dalle autorità che lo salutano romanamente, dalla Compagnia d’onore e dalla Banda Presidiaria che dopo la Marcia Reale attacca ‘Giovinezza’.
«Il Duce, il Capo Supremo, il Condottiero lungamente atteso, oggi è qui, nella nostra città. L’alba non è ancora spuntata al di là del mare appena mosso e già per le strade della città, che non ha dormito e ha vissuto l’ansia dei grandi eventi umani, vibrano di segni augusti della giornata memoranda che verrà».
Retorica? No. Era il linguaggio ampolloso ereditato dall’epoca liberale arricchito dal frasario altisonante, spocchioso del nuovo regime, a volte dettato parola per parola dal Ministero della Propaganda fascista, specie nelle grandi occasioni, nei grandi eventi che vedeva la presenza del Duce, del Capo Supremo, di Mussolini.
E la visita del Capo del Governo a Bari per l’inaugurazione della quinta Fiera del Levante, rientrava nelle ‘grandi occasioni’ – era stata annunciata fin dall’anno precedente – per consentire alle organizzazioni fasciste di Puglia e dei quotidiani di preparare l’evento nei minimi particolari. Achille Starace era stato categorico: «non sarà tollerata la minima sbavatura».
Alle 8.20 il Duce sale su un’auto scoperta e insieme ad un codazzo di gerarchi si dirige verso la Fiera del Levante al tuono dei cannoni dei navigli da guerra, fra l’urlo delle sirene, il suono delle campane e «fra due ali di folla acclamante e delirante che scandisce Duce! Duce… noi vediamo», scrive il cronista, «le donne della città vecchia che gridano l’evviva ed hanno gli occhi lustri di pianto, noi vediamo mani sclerotiche di vegliardi detergere le lagrime, noi vediamo il popolo nostro serio, un po’ freddo per l’attitudine a misurarsi con tremende forze avverse, sopraffatto dalla commozione. E così per quattro chilometri per quanto è lungo il viale della Fiera che nereggia di popolo».
Dopo la lunga litania dei saluti delle autorità, con il Duce che appare visibilmente impaziente, la minuta visita ai padiglioni degli espositori, nazionali ed esteri, è conclusa «con passo spedito e piglio marziale».
Ad ogni sosta un sospiro di sollievo dei gerarchi affannati che non riescono a tenere il passo del Capo, a nascondere la pancia.
Poi, di nuovo, Mussolini sale sull’auto scoperta, torna ad attraversare Corso Trieste, fra le acclamazioni delle Camicie Nere schierate lungo le strade e «due ali fitte, prementi e incontenibili di popolo entusiasta» e si porta al Palazzo del Governo per partecipare alla colazione offerta ai rappresentanti dei paesi esteri.
Ma la folla strabocchevole vuole vedere e rivedere il Duce. Le invocazioni salgono di tono man mano che l’ammassamento improvviso sotto la Prefettura si fa più spesso. Finalmente il Duce accoglie l’invito, si affaccia al balcone centrale del Palazzo e la folla prorompe in un’acclamazione fantastica, travolgente.
Alle 14.30, dopo un pasto frugale, il Capo del governo esce dalla Prefettura e si avvia alla Basilica di San Nicola.
Nessuno ha lasciato le strade. Il maniacale apparato organizzativo di Starace ha programmato ogni passo, ogni movimento del Duce, della gente, della folla. Il potente Segretario del Partito ha istruito personalmente i capigruppo: come si devono portare i cartelli e gli stendardi, cosa scrivere sui cartelli ed ha persino indicato come ogni gruppo, ogni settore deve vestire.
"FieraIn Basilica, la suggestiva fila di 136 coppie di sposi allineati ai lati della navata della grande chiesa, inorgoglisce e sorprende il Duce: ecco la dimostrazione della fecondità del popolo pugliese. Mussolini è impressionato dalla splendida scenografia. Nella semioscurità della Basilica il bagliore delle spose bianco-vestite offre uno spettacolo eccezionale.
Fuori della grande Chiesa l’entusiasmo del popolo della città vecchia, che ha voluto assistere alla grande festa della nuzialità, è incontenibile: «l’esaltazione e le acclamazioni della folla coprono i canti della Schola Cantorum i cui componenti sono Balilla, Avanguardisti e Giovani Fascisti».
Ma lo spettacolo non è finito. Dalla Basilica il corteo delle automobili prosegue rapidamente per il lungomare Cristoforo Colombo, Via Cavour, via Cardassi e Piazza Umberto per fermarsi davanti all’ingresso della Regia Università Adriatica che per l’occasione prende il nome di ‘Università Benito Mussolini’.
Dall’Ateneo il Duce attraversa il cortile di Via Suppa ed eccolo di fronte al grande Palazzo delle Poste. Inaugurazione, visita – sempre tutto molto rapidamente – e via per il cantiere del Policlinico, dove duemila operai, «osannanti per il privilegio della visita del Capo Supremo», stanno costruendo il più grande ospedale di Puglia.
Ancora più spettacolare la manifestazione nel costruendo Stadio della Vittoria.
Mussolini giunge nel nuovo stadio di Bari alle 16 precise e «dalle vaste scalee gremite di folla s’innalza un applauso interminabile: i giovani fascisti sventolano i fazzoletti e gagliardetti mentre l’Arena risuona a ritmiche ondate di un’eco potente: ‘Duce, Duce’. Il Capo è là sul podio allestito appositamente per lui ai piedi della Torre di Maratona che saluta con cordialità sorridente la massa entusiasta».
Un’ovazione incontenibile sale nell’azzurro cielo di Bari, la parola Duce è scandita da oltre ventimila spettatori e disegnata sul rettangolo verde da tremila atleti impegnati nel Campionato Nazionale di Atletica dei Giovani Fascisti. La compagine di Roma ha in prima fila sei giocatori di pallacanestro al comando di Bruno Mussolini. «Nel momento in cui la squadra giunge all’altezza del podio, Bruno Mussolini alza il braccio e guarda lassù il Genitore. E’ Un attimo: Benito Mussolini che ha visto il figliuolo, risponde con un lungo simpaticissimo sorriso. In quel momento l’anima del popolo circonda i due cuori: quello del Capo e quello del giovane atleta».
Alle cinque del pomeriggio il corteo delle auto che accompagna il Duce lascia lo stadio per una visita ai cantieri del nuovo porto e ancora, sempre fra due ali di folla acclamante lungo il percorso, si reca ad inaugurare il nuovo Palazzo della Provincia.
«Dodici anni di attesa», si legge nell’editoriale della Gazzetta del Mezzogiorno del 7 settembre «ed in questi anni quanta passione, quanto fervore di opere, quanta dura fatica compiuta nel nome di una fede che non può perire, quanta audacia, quanto ottimismo, che sfida magnifica contro tutte le avversità del destino, contro il pregiudizio di tutte le crisi!».
Per celebrare la storica visita del Duce alla città, Bari ha dimostrato una capacità organizzativa degna delle grandi città del Nord. La stessa Fiera ha eccezionalmente protratto la chiusura di due giorni. Sono state organizzate gare di atletica, un Festival cinematografico sotto le stelle all’interno della Fiera; il Petruzzelli ha inaugurato una breve ma intensa stagione lirica con un cartellone memorabile di opere, Aida e Tosca, per la direzione artistica del maestro Vincenzo Bellezza e, tocco magistrale, per ospitare le delegazioni estere e i numerosi industriali è stato fatto venire il transatlantico ‘Conte Biancamano’, il levriero del mare, utilizzato come nave albergo. Particolare cura poi ha richiesto la sistemazione di decine di migliaia di Camicie Nere arrivate a Bari dalla regione e da tutta l’Italia, con ogni mezzo, fin dalle prime ore del mattino.
La città è tutta imbandierata, il pomeriggio è alla fine, ma il meglio della storica visita deve ancora venire. Il Duce, sempre assentendo, approvando e ringraziando per l’accoglienza, non ha ancora parlato al popolo, non ha detto una parola alle migliaia e migliaia di persone presenti a Bari. Molti pugliesi hanno fatto decine di chilometri a piedi per essere ‘presenti’, per vederlo, soprattutto per ascoltare «la possente parola del Capo».
"FieraE alle 18, dal balcone centrale del Palazzo della Prefettura, il Capo del governo con fare marziale, si avvicina ai microfoni e finalmente rivolge la parola al popolo, «Camicie Nere di Bari»… un grido lungamente represso esplode, «l’istante successivo da trecentomila gole» stima il cronista «sgorga un urlo immane che fa vibrare la città: Duce! Duce! Duce!»
Poi, scende un grave silenzio. Dal Teatro Margherita, per tutto il Corso Vittorio Emanuele, nell’intera Piazza Massari e fino ai giardini Garibaldi, si possono sentir volare le mosche. Mai la gente si è adunata a Bari in così iperbolico numero. Grappoli umani sono sui balconi del Comune e dei palazzi privati prospicienti il Corso. Alcuni atleti, giovani fascisti, sono saliti sugli alberi e sulle edicole, hanno scalato il monumento a Piccinni, lo hanno fregiato dei colori delle loro maglie, mentre uno di loro, in piedi, stringe il capo della statua e agita un gagliardetto.
Dai potenti altoparlanti esce chiara, netta, precisa, la forte parola del Duce: «Camicie Nere di Bari! al termine di questa ardente e solare giornata, quindi fascista, voi non vi attendete certamente un discorso politico nel senso ormai tradizionale della parola». «Sono venuto tra voi», prosegue il duce dopo prolungati applausi «per mantenere la mia promessa. Sono veramente lieto di questa giornata che mi ha messo in contatto col generoso popolo di Puglia», applausi vivissimi, sottolinea il cronista, «popolo di agricoltori solidi e di marinai intraprendenti, due categorie di italiani che sono particolarmente care al mio cuore», e giù acclamazioni vivissime.
«La Fiera del Levante è una realizzazione superba di Bari fascista. E’ un magnifico esempio di volontà tenace e di spirito di organizzazione», applausi prolungati. «Questa parola pareva che non trovasse posto nel dizionario della lingua italiana. Ma si trattava dell’errore di gente che non ci conosceva», applausi altissimi… «non è dunque una sorpresa per me la prova di questa Fiera che oggi io metto all’ordine del giorno della Nazione e addito a tutti i popoli civili».
«Che cosa era la Puglia prima della Rivoluzione? Una regione nella quale un passato glorioso aveva lasciato monumenti di una bellezza incomparabile. Questo appartiene al passato. Ma noi fascisti siamo tesi verso l’avvenire», acclamazioni altissime. «Oggi la Puglia, con Bari alla testa, è una terra profondamente fascista che ha dato delle magnifiche squadre d’azione, che ha dato dei martiri la cui memoria vive perennemente nei nostri cuori. Oggi voi vi sentite parte intima dell’organismo del popolo italiano».
«Camicie Nere di Bari! Nel segno del Littorio, noi abbiamo vinto. Nel segno del Littorio noi vinceremo domani. Ne siete convinti?» La folla prorompe in un grido altissimo: sì! sì!
Il discorso è finito. Anche la giornata barese di Mussolini è finita. Alle 20 il Duce parte in automobile alla volta di Brindisi… «mentre la sera pone ombre suggestive nel cielo sopra la città in festa… le vie ardono di un vasto incendio, attorno a queste fiamme i lumicini dei globi alla veneziana segnano di verde e rosso gli stipiti delle finestre sul mare; decine di migliaia di lampade si accendono per le strade e sui lungomare, le fiaccole di luce drizzano le loro lingue e disegnano le sagome dei palazzi. Innumerevoli riflettori dalle unità di guerra spalancano le loro enormi pupille sulla folla in trambusto».
Migliaia e migliaia di baresi, pugliesi e forestieri si accingono a tornare a casa. La festa è finita ma conserveranno a lungo il ricordo di questa giornata.
L’unico rimasto indifferente e sordo alla voce del Capo Supremo è lui, Niccolò Piccinni. Non ha applaudito, non ha acclamato, non ha neppure sollevato il capo, è rimasto con gli occhi chini sul suo spartito musicale.
Le stesse manifestazioni poi si sono svolte a Brindisi, Lecce, Taranto e Foggia dove il Duce si è recato nei giorni successivi.
L’11 settembre Michele Viterbo scrive un commento sul significato politico della visita di Mussolini in terra di Puglia. «A Lecce il Duce ha detto che oggi la Questione Meridionale sembra un paradosso e che basta la Puglia, col magnifico complesso delle sue opere pubbliche rigeneratrici, ad attestare il radicale rinnovamento operato dal Fascismo nel Mezzogiorno».
«La questione meridionale», si legge nella sintesi, «era unicamente sostanziata dalla ingiustizia distributiva dei governi del liberalismo degenerato. Caduto il sistema, finiva la questione meridionale».
Invece sono passati i governi liberali ‘degenerati’ del Regno d’Italia, è passato il bellicoso regime fascista, sono passati 45 anni di regime democristiano nell’Italia delle Prima Repubblica, è passato il colpo di spugna di Tangentopoli che ha pulito il ‘palazzo’ ma ha lasciato i vetri sporchi; è nata la Seconda Repubblica piena di promesse e velleità dei governi di centrodestra e centrosinistra, ma ‘l’ingiustizia distributiva’ è rimasta ingiusta.
Così, i meridionali, prima sono andati nelle fattorie ‘delle Americhe’, poi sono stati mandati a dissodare i deserti dell’Eritrea e della Cirenaica. Poi ancora, a coltivare le terre e a riempire le fabbriche dell’Italia settentrionale e di tutti i Nord d’Europa. Infine, le nuove alleanze di governo stanchi di ascoltare da ormai quattro generazioni, il lagnoso tormentone della ‘Questione Meridionale’ ne hanno inventato uno nuovo con parole e musica di Umberto Bossi da Giussano. E’ nata la ‘Questione Settentrionale’ ovvero, chi cha, cha; chi non c’ha s’arrangia.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.