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Con questo articolo inizia un viaggio nel mondo dei Lager nazisti e gulag sovietici scritto da Julij Borissovič Margolin, filosofo, scrittore e giornalista ebreo di formazione linguistica russa assolutamente sconosciuto in Italia (prefazione a cura del prof. Augusto Fonseca responsabile della "Collana Slavica" della Zane editrice).
Sul “Figaro littéraire” del 1° novembre 1950, David Rousset, figura eminente tra gli ex deportati nei campi nazisti, autore di “L’universo concentrazionario” (1946) e “I giorni della nostra morte” (1948), cosí concludeva l’appello rivolto a tutti gli ex reclusi dei Gulag, perché ne denunciassero la barbarie: “Vorrei che ciascuno di noi ricominciasse: immaginiamo di trovarci di nuovo riuniti sul grande piazzale di Buchenwald, sotto i fari e sotto la neve, ascoltando l’orchestra in attesa di venire contati. Come giudicheremmo altri deportati che, tornati in libertà, non sapessero raccontare le proprie sofferenze senza trovare una parola per proclamare che noi viviamo ancora in pericolo di morte? Osceno, sarebbe davvero troppo poco. Se pensiamo che milioni di uomini si trovano oggi nella condizione in cui noi ci trovammo ieri, sapremo che abbiamo dimenticato. È il nostro difficile privilegio quello di non poter sfuggire a questa accusa. Gli altri, che mai furono in campo, possono dichiarare la loro incompetenza, la povertà d’immaginazione. Noi siamo dei professionisti, degli specialisti. È il prezzo che dobbiamo pagare al sovrappiú di vita che ci è stata concessa”.
Anche se da un po’ di anni la realtà dell’universo concentrazionario sovietico non è piú messa in discussione, tuttavia (particolarmente dopo la consunzione del velo che copriva l’ipocrisia omicida del comunismo nell’Urss e nei suoi satelliti) non si possono escludere tentativi di riduzione ad una normalità, da comprendere e giustificare nella specificità del contesto storico, miranti ad evitare l’obiettivamente inevitabile verdetto: un paese dove esistono campi di concentramento non ha futuro, perché è un paese marcio fino al midollo. Anche per questo è molto utile (molti dicono “necessario”) allargare e approfondire le conoscenze su questa materia. Un aspetto meritevole di attenzione particolare è quello relativo al confronto dei due regimi, nazista e comunista, che hanno caratterizzato il secolo scorso con l’obbrobrio del Lager e del Gulag.
LAGER NAZISTI E GULAG SOVIETICI: UN POSSIBILE (E NECESSARIO) CONFRONTO
di Julij Borissovič Margolin
Nulla fa tanto andare in bestia gli attivisti del comunismo internazionale, quanto l’espressione “fascismo rosso”. Nulla risulta maggiormente oltraggioso del paragonare i metodi sovietici a quelli di Hitler. Non è forse il fascismo, infatti, il nemico mortale del comunismo? Storicamente è dimostrato che fascismo e comunismo non possono stare insieme. Là dove il fascismo trionfa, il comunismo è morto. Dove vince il comunismo, è annientato il fascismo. Si tratta di due realtà contrapposte.
Ed è proprio cosí. Noi, però, dalla nostra visuale, né fascista né comunista, ma democratica e liberale, rispondiamo: l’odio reciproco non ha ancora dimostrato trattarsi di incompatibilità assoluta. Al contrario: esiste l’odio tra fratelli, l’odio tra vicini, che si genera da somiglianza di scopi perseguiti e rivalità tra persone spiritualmente affini. Fascismo e comunismo sono due varianti del regime totalitario, negatore della libertà e della dignità della persona. L’odio tra di loro è un odio tra rivali. L’atteggiamento del popolo ebreo nei confronti di Hitler era l’atteggiamento della vittima nei confronti del carnefice. Noi siamo stati contagiati. L’odio da noi covato si giustifica con la necessità di difenderci dal male. Ma nell’odio reciproco tra nazismo e comunismo chi è il carnefice e chi la vittima? Entrambi hanno il medesimo carattere aggressivo, spietato e disumano. Entrambi impiegano ugualmente il sistema del campo di concentramento per soffocare l’opposizione politica degli avversari. Entrambi i regimi avvolgono nel mistero i propri campi, ai quali non permettono l’accesso della stampa democratica e indipendente. La popolazione tedesca non sapeva niente di piú su Auschwitz di quanto la popolazione sovietica sa fino al giorno d’oggi sui campi di Vorkutà e Kolymà. Anche i giornalisti sovietici, intervenendo in difesa dei campi russi, non sanno nulla in merito e si limitano a ripetere i dati ufficiali.
Dei campi nell’Urss possono esprimere giudizi solo coloro che li hanno visti con i propri occhi e possono basarsi sull’esperienza propria, oppure sull’esperienza di persone degne di fede. E le risposte dei carcerieri non sono degne di fede. (continua)