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Termina con questo articolo il nostro viaggio di tre puntate curato dalla nostra collaboratrice di Milano, Rosy Candiani sul mondo dell’alta gostronomia ed in particolare il congresso italiano di cucina d’autore, Identità Golose da qualche tempo conclusosi. Questo è la terza ed ultima puntata.
L’elemento che ha accomunato le due “performances” di Bottura e Cedroni è il desiderio, senza retorica, di offrire un filo che possa unire più saperi e storie, consigli di base, l’Abc da indicare ai giovani che scelgono un futuro da cuochi. Una passione e amore per la cucina che si fanno didattica, lezione esemplare e nello stesso tempo semplicissima.
MASSIMO BOTTURA (Osteria Francescana, Modena)
A capitanare le nutrite truppe dell’Emilia Romagna, regione ospite al congresso, è salito sul palco l’estro e il genio di Massimo Bottura, idolo del congresso e tenace portabandiera di un’avanguardia impenitente, riflessiva, inflessibile. Esempio fulgido di una strategia vincente per uscire dalle secche nelle quali si è cacciata la creatività, insignito per questo e altro del premio Nino Negri di Cuoco dell’anno.
“In un momento di grande confusione, quasi di caccia alle streghe, la cucina è un’oasi di pace. Anche dietro ai fornelli, dove io cerco sempre di riflettere, di evitare le banalità … cerco di evolvermi. Le contaminazioni sono punto di partenza, non di arrivo, perché nel confronto si plasmano le identità. Non è rivoluzione ma evoluzione: le guerre intestine stanno ostacolando la promozione della nostra cucina. Ma la ricerca è vicina al prodotto e alla tradizione, più di quanto non si potrebbe sospettare. Fare ricerca è un modo di esprimere delle passioni, che spesso non paga ma fa risalire faticosamente le correnti”.
Il piatto, che Bottura prepara in diretta, è un omaggio al distretto del nord dell’Adriatico, racconta la storia di una sarda che vuole diventare saraghina ma si trasforma in aringa. “Nella saraghina ho sentito il mare profondo, ho cercato di estrarlo e ho pensato al whisky Ardbeg con l’acqua che scorre sulla torba. Così ho fatto passare l’acqua sui pesci, raccogliendo fumo e intensità che ho distillato a bassa temperatura. La sarda l’ho aperta e punteggiata di erba senape, erba ostrica, limone confit, ricci, olio di pepone materano miscelato a extravergine. Della saraghina alla sarda continua a mancare l’apparenza, procacciata da un velo di gelatina acidula e ambrata”. Mentre il brodo caldo aggiusta leggermente il tutto di cottura e di temperatura. Emozionante il beneplacitum di Alain Ducasse, maestro che assaggiando ha lodato testura, acidità e “perfetto dosaggio della cucina italiana e di quella che sarà la cucina del futuro. Un ingrediente esaltato al massimo nella sua naturalezza accentuandone con astuzia i lineamenti”. Infiammando il congresso.
MORENO CEDRONI (La Madonnina del Pescatore Senigallia)
Il servizio al ristorante per Moreno Cedroni è come una prestazione sportiva di alto livello. Ogni sera si deve essere al massimo, perché questo è ciò che richiede il cliente. E così, qualche animosità, in cucina ci scappa.
Cedroni parte dal tema della sessione –“Identità di pasta”- e da quello del Convegno –“Il lusso della semplicità”- per una serie scoppiettante di osservazioni. “Nel mondo – pasta, la difficoltà per il ristoratore nel cucinare questo piatto è la cottura. Il binomio lusso – semplicità viene spesso risolto nella scelta di un prodotto che costa poco; in realtà siamo davanti a un palliativo, perché poi occorre tanto tempo per renderlo accattivante, soprattutto a un pubblico esigente. Oggi il vero lusso è il tempo e quindi in questo senso si muovono la mia ricerca e i piatti che propongo oggi”.
“Il segreto di questo lusso e lavorare cucinando in anticipo e, in particolare per la pasta, l’arte è quella del saltare la pasta e non sul fuoco, perché nel tempo della preparazione e portata, la pasta arriva al cliente secca” Ecco allora l’idea “della pasta tirata a freddo”, declinata in due delle ricette fondamentali della cucina di casa: pasta al salmone e pasta alle vongole. Ma il sugo viene assorbito a freddo, in frigo, dalla pasta. Lo spinosino all’uovo, fatto solo con i tuorli. Che deve essere cotto per 2 minuti e mezzo prima di essere unito al sugo.
Il salmone: marinatura con sale, zucchero, pepe bianco per una notte. La salsa viene preparata con olio, salmone affumicato e cipolla. Poi il brodo. Lemongrass, lime, zenzero, che viene unito all’acqua del cocco in scatola. Il tutto per ottenere una finta panna. La sapidità viene concessa dalla colatura di alici. La colorazione arriva dalla barbabietola. Lo yuzu, bella aggiunta. Serve per dare il senso di “agrumoso”, buccia essiccata e zucchero a velo. Pronto il sugo, si fa raffreddare insieme alla pasta con l’abbattitore. Poi, frigo. Per quanto si vuole, massimo 2 giorni.
Simile il procedimento per la pasta alle vongole. Lo spinosino si conferma come metodo di cottura.
Il sugo di pomodoro si fa con le verdure che restano dalla lavorazione del sugo di pesce. Un sugo rosa che dà una piacevole nuance di pesce. La vongola verace viene fatta aprire in padella e sfumata nel vino. La piacevolezza d’agrume arriva dal bianco di limone, sbollentato per togliere l’amaro.
Per la base delle vongole ci vogliono olio, sale, succo di limone, un aglio diviso in due. Via con il pomodoro, vongole a rafforzare la salsa finale. E ancora frigorifero. Quando il piatto esce viene scaldato al microonde per arrivare a 37°. Il tocco finale è qualche vongola cruda. Il lusso del 2010 è il tempo. E questi piatti sono pronti da mangiare quando si vuole, con questo metodo.