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Un romanzo diverso e assieme fedele a se stesso, questo ultimo di Alessandro Baricco, che racconta di quattro ragazzi di famiglie piccolo borghesi che deragliano o meglio «sconfinano» dalla regolarità delle loro vite di credenti e cattolici: «In realtà quella è l’anomalia, la pazzia con cui ribaltiamo il teorema della nostra semplicità, ma a noi appare tutto molto ordinario».
Diverso per l’argomento che affronta e i temi che tocca, molti quasi d’attualità, presenti nella cronaca degli ultimi anni, e per un suo essere più duro del solito, impietoso e fisico, che racconta senza reticenze fatti di sesso o di assistenza ai malati, e assieme fedele al Baricco che conosciamo per il farlo sempre con quello stile misurato e come ovattato, quella lingua calibratissima che pare smussare le asperità anche quando, come in questo caso, le cerca esemplarmente, grazie alla scelta attenta delle parole, non una di più non una di meno, senza far sconti a nulla. È quella misura che ha fatto parlare di manierismo, ma è proprio in certo manierismo, ci insegna la storia, che si annidano spesso i germi del nuovo, la capacità di cogliere l’inespresso, riuscendo magari a provocare.
Non un romanzo provocatorio, comunque, ma che riesce a indagare un’inquietudine profonda, che è dei tempi oltre che di questi adolescenti impreparati alla vita. «Abbiamo tutti sedici, diciassette anni, ma senza saperlo veramente, è l’unica età che possiamo immaginare: a stento sappiamo il passato», è la frase che dà inizio al racconto. Un racconto che nasce dal bisogno di capire, di vedere davvero, di non essere come nell’episodio evangelico di Emmaus, da parte dell’io narrante dopo la tragedia della morte suicida di uno degli amici: «Avevo in mente il passo del contadino che ritorna ai campi, dopo al tempesta. Si trattava solo di ritrovare il punto dove avevo interrotto la semina, ai primi chicchi di grandine», si legge, con Baricco che usa un linguaggio e immagini mimetiche alla storia cristiana (molto più che cattolica) che sta narrando.
L’episodio di Emmaus, dei viandanti che incontrano un uomo mentre si interrogano sulle voci della resurrezione di Cristo e poi lo invitano a cena, dove scoprono che è il Messia stesso, e quindi si chiedono «Come abbiamo potuto non capire?». Storia che i quattro amici, l’io narrante, il Santo (che vuol farsi prete), Luca (col padre gravemente depresso) e Bobby, amano molto, consci che conoscono «l’avvio delle cose e poi ne riceviamo la fine, mancando sempre il loro cuore».
In tutto questo il ruolo chiave, il perno di tutto è un quinto personaggio, la giovane Andre che, avendo tentato il suicidio con determinazione, muore ogni giorno, come tutti, ma con evidenza e dissipazione di sè, e assieme con un fascino seducente e distruttivo, assente e privo di sentimenti, che coinvolge i quattro giovani. Andre è naturalmente bella e di quelle famiglie ricche in cui la chimica della vita non produce «formule esatte ma spettacolari arabeschi», in più ha qualcosa di mascolino e «va da sè che le ragazze un pò maschili risultano più gradite», visto i loro problemi morali religiosi col sesso.
Un romanzo su un mondo che va in pezzi, di artigianali e antichi «maestri di invisibilità» che si ritrovano al centro della scena, dove la loro normalità appare follia. Un racconto che piacerà ma inquieterà i fedeli lettori di Baricco e non riuscirà allo stesso modo a rompere il guscio di diffidenza di chi da sempre non lo apprezza.
Alessandro Baricco, "Emmaus" (Feltrinelli, pp.140 – 13,00 euro).