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Incontriamo Enzo Gentile quando il suo progetto di rassegna musicale è già avviato: Music Club, il contenitore di eventi pensato per I Pomeriggi Musicali al Teatro Dal Verme di Milano adesso ospita Acoustic 2009 #2, alla sua seconda edizione, e ha già “consumato” tre degli otto incontri previsti. Iniziato il 22 ottobre (dopo il preambolo “cartaceo” di presentazione di Guitar Man) con Jorma Kaunonen, si chiuderà l’8 Dicembre con Paolo Fresu.Può lasciare le cautele perché i riscontri della sala autorizzano a parlare di successoPossiamo dire che la fiducia ci è stata accordata: Milano non è una piazza “facile”, a Milano c’è di tutto, è facile distrarsi, ed è complicato far arrivare le notizie alle persone; noi abbiamo scelto il giovedì, che è una serata difficile per la presenza di una nutrita concorrenza, ma possiamo dire che ormai siamo riusciti a spargere la voce, la formula della musica con aperitivo a un prezzo contenuto ha pagato, la sala è piena.
Dopo pochi mesi dalla prima rassegna, a Gennaio – Febbraio, Acoustic 2009 si presenta allargata, con un maggior numero di appuntamenti, praticamente semestrale, chiaro segno di gradimento. Come è nata l’idea di questo progetto musicale?
“Il progetto è nato sui miei gusti musicali, almeno di una parte, e da un esame del mercato della musica dal vivo, pensando a un genere di incontro musicale che è incrocio di suoni e visioni, contatto con sonorità acustiche, morbide e avvolgenti, in una condizione d’ascolto ottimale. Si tratta di un’angolazione un po’ diversa rispetto all’altro progetto musicale che curo ormai da 19 anni, “Suoni e Visioni”, a sua volta nato da un esperimento che ormai 24 anni fa pensammo per Bari, Time Zone. Questo fare musica a Milano non c’è e se ne sentiva l’esigenza: musica in una dimensione raccolta per spazio (200 posti) e in un orario anomalo che “cattura” chi è già in giro e non vuole inseguire il rito dell’happy hour. Nello stesso tempo l’aperitivo (i concerti in Sala Piccola terminano con un bicchiere di vino offerto a tutti i partecipanti) dopo il concerto può essere letto come un’alternativa colta all’happy hour”.
Quali sono le caratteristiche della Rassegna e quali le novità di questa seconda edizione?
Gli appuntamenti vedono coinvolti artisti che altrimenti non si sentirebbero a Milano. La scelta nasce da una fotografia del mercato: i dischi di questi artisti circolano, i loro nomi sono nelle enciclopedie ma non sono nomi da grossi business e quindi non sono scritturati: a me piacciono, ho trovato spazio per l’esperimento ed è piaciuto. Ho cercato un clima e un ambiente raccolti, una dimensione acustica, un volume non eccessivo: due – tre persone che suonano sono più che sufficienti. La novità di questa seconda edizione sta anche in un ampliamento verso l’ ensemble: abbiamo una band, i Chumbawamba, Robyn Hitchcock suona con un trio, e anche Mary Coughlan. Ho lasciato la libertà agli artisti di presentarsi, la caratteristica è che mantengano una dimensione acustica: questa è l’unità della proposta. L’eccezione è Gong & Steve Hillage Band nella sala grande, la band allargata sul palco a sette elementi che ha presentato in anteprima italiana il nuovo album “2032”; ma comunque resta la chitarra al centro del palco, e poi è pur sempre la legge dell’eccezione”.
In che senso possiamo leggere il contenitore: Music Club?
Vorrei sottolineare la dimensione raccolta: a Milano e in generale in Italia non c’è questo modo di fare musica, mentre a New York e a Londra è una tradizione, da anni, diffusa. Il suono che amo, la gamma del sound folk –blues – jazz ammette questa formula”.
Il pubblico troverà dunque personaggi fuori dai percorsi milanesi o percorsi inediti di personaggi noti?
Sono personaggi poco commerciali ma di chiara fama per gli appassionati, con carriere robuste e autorevoli, che partendo dalla tradizione e dalla cultura popolare spesso hanno percorso suoni senza barriere, né frontiere. A Milano c’è poi la particolarità delle loro proposte: Jorma Kaukonen di rado va in giro per concerti da solo; ma io so che suona da solo e, conoscendo la sua storia, gli ho chiesto di farlo per Acoustic: quindi la serata con Barry Mitterhoff, in duo, è un percorso inedito. Elliott Murphy suona solitamente in quartetto ma a Milano raramente si è esibito in duo. I Chumbawamba sono un gruppo a lungo sinonimo di un sound ribelle, che, da punk e da un suono anche violento, ha avuto una svolta recente che vale la pena di comunicare alla gente: è quasi un’anteprima anche per chi li conosce. E infine Paolo Fresu presenta l’8 Dicembre il nuovo disco in anteprima assoluta, perché il tour parte in primavera. Quindi anche gli appassionati trovano in questa rassegna l’esplorazione di novità”.
Possiamo parlare di musica senza frontiere oppure occorre pensare comunque a una certa predisposizione all’ascolto?
No, sicuramente è una musica non complicata, nella quale ci si può immergere, come mostrano i primi due concerti; prendiamo il caso di Elliott Murphy, che ha superato quota 100 dischi venduti dopo il concerto, con circa 200 spettatori, una media altissima. E fino alle 21 è rimasto a firmare… significa quindi che è stato una scoperta per molte persone, considerato che chi ha la sua discografia non necessariamente compra il disco, ossia un segnale di ampliamento della cerchia degli appassionati alla formula e a questo tipo di proposta musicale.
Possiamo chiedere qualche consiglio per chi, tra i lettori di LSD Magazine, non è a Milano, ma può pensare a una puntata in città?
Credo che l’ultimo concerto della rassegna, quello di Paolo Fresu sia davvero una esperienza di musica avvolgente; e poi i Chumbawamba, perché anche per chi li conosce il concerto presenta lo scarto più ampio tra quello che sono stati e quello che mostrano: una trasformazione senza cancellare il loro repertorio e la loro ideologia, ma una strumentazione molto diversa. Dieci-dodici anni fa hanno venduto milioni di dischi in Europa e negli Stati Uniti, a Milano saranno la vera sorpresa, una chicca.
La sua attenzione verso un pubblico aperto, giovane, nel pensare nuovi percorsi d’incontri musicali è influenzato dalla sua attività di insegnamento all’università?
Nel corso dell’insegnamento ha scoperto che i ragazzi sono un terreno molto disponibile; con un percorso di spiegazioni, senza presunzione e supponenza, scoprono che c’è altra musica rispetto al loro orizzonte abituale e allora danno una risposta straordinaria. E’ una strada che ho costruito negli anni, ma sono riuscito spesso a far amare artisti per loro sconosciuti, opportunamente contestualizzati, a portarli fuori dai terreni sonori più vicini alla loro sensibilità”.