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"paolo-fresu"Si è tenuta a Milano qualche giorno fa, la presentazione in prima assoluta a La Feltrinelli della autobiografia di Paolo Fresu, Musica dentro, scritta da questo artista giovane eppure affermato jazzista di fama internazionale, aperto a mille collaborazioni ed esperienze, con oltre 350 album e innumerevoli premi e riconoscimenti alle spalle.
Questo libro non è un esordio, Paolo ha attraversato la scrittura spesso: “la scrittura mi piace perché sa di suono. In questi anni ho sempre scritto per me stesso … mi piace scrivere pensieri brevi, che abbiano un inizio e una fine … il bisogno di raccontare una storia normale”, scrive nelle prime pagine del libro.

L’incontro con Paolo Fresu non si snoda su un binario prestabilito ma libero, come una sessione di jazz; le persone attorno a lui per parlare del libro sono amici in senso vero: Enzo Gentile, Ornella Vanoni e l’assolo imprevisto e improvvisato di Lella Costa. Le loro voci si intonano, entrano in interplay come i solisti del suo quintetto, con la sintonia dell’amicizia e della ricchezza dei contenuti da proporre.
Questa e’ la prima presentazione di “Musica dentro”, ma c’è un’atmosfera rilassata e i presenti hanno subito la sensazione di assistere a qualcosa di unico. La sua storia inizia nel 1961 – di carnevale- e si snoda in una vicenda musicale e umana: un reticolato, un labirinto di viaggi, incontri, rapporti.
Perché in piena carriera e giovane il bisogno di raccontarsi? Fresu sottolinea l’idea di raccontare una storia "normale" che dall’ amore per la musica lo porta a essere musicista, con testardaggine sarda, un viaggio dalla Sardegna, e dal rapporto musicale con la lingua madre, alla musica delle metropoli americane, il jazz. L’idea di come attraverso la musica sia arrivato alla scoperta di altri luoghi e del mondo.
In realtà la sua storia è una storia speciale e lo si capisce anche dal bisogno di un racconto dettagliato dell’infanzia e dei ricordi, di solito un momento trascurato in una biografia. In realtà è da qui, dall’infanzia che trae linfa la sua vita musicale – “il jazz è una musica spugnosa, che assorbe luoghi e realtà”-; l’infanzia lo ha portato a essere musicista in questo modo: il silenzio, i suoni della cultura contadina e i profumi della sua terra hanno formato la personalità di oggi.

“La Sardegna mi identifica, mi crea, mi nutre. In un certo senso, non me ne sono mai andato, anche se ormai si può dire che passi un numero pari di ore in volo e sulla terra. La Sardegna è mio padre Lillino ed è mia madre Maria, è i cespugli …”
La prosa del racconto è una prosa scarna e pittorica, evoca odori e colori della sua terra , soprattutto dell’infanzia, come, per esempio, della scuola :”mi piaceva la scuola, amavo i colori e gli odori dei libri, delle matite, delle cartelle e dei diari”.
Dal vivo, Paolo Fresu è invece un affabulatore ricco e affascinante, che trascorre da un ricordo a un progetto con naturalezza. Inevitabile chiedergli:
Quanta Sardegna c’è nella tua musica?

Credo si possano trovare due legami diversi con la Sardegna: il primo, e curioso, è la presenza di sardi tra il pubblico ad ogni mio concerto, il che significa che la Sardegna è un popolo, una realtà che vuole manifestarsi; e poi c’è il riconoscimento unanime nella mia musica dell’esistenza di un pezzo di Sardegna: tutti “sentono” la Sardegna; evidentemente la <sardità> che emerge nella musica è un modo di essere: L’isola è una protagonista discreta. Posso fare un esempio: io credo di aver scoperto con Miles Davis la indissolubile necessità di coesistenza nella musica di suono e silenzio, il vuoto apparente che dà senso alle note, un equilibrio che nessuno insegna e che io ho compreso con Davis; anche se, forse, non lo avrei così fortemente percepito se non ci fossero stati prima i suoni e i silenzi della mia infanzia a Berchidda”.
Dalla vicenda biografica al poliedrico percorso artistico, spesso raccontato come ”storia” di amicizia e di collaborazioni, complicità e progetti anche coraggiosi, geografia di incontri che hanno come scenario il mondo.
Tralasciando di fare una delle domande più frequenti e che comunque trova risposta nel libro, come si può diventare musicista jazz in un paesino come Berchidda, è interessante approfondire il discorso sul fare jazz, tra improvvisazione (“l’improvvisazione èlibertà e questa chiede coraggio per seguire l’interiorità” chiosa Ornella Vanoni) e repertorio (“suonare uno standard – una reinterpretazione di pezzi del passato- è sentirsi parte di una famiglia, quella del grande repertorio americano. La ripresa è continuo approfondimento, è legame con la tradizione del jazz per trovare nuovi percorsi di musica”) e come interazione con altri interpreti del set.

Tu scrivi che “la soggettività nel jazz è totale”. Significa esprimere libertà?

“Assolutamente sì: la scelta del jazz, anzi la scoperta del jazz è proprio legata a questo: chi fa jazz è assoluto protagonista e conduttore del viaggio della musica. Questo è molto bello. Il jazz è tra le pochissime forme di musica che dà una libertà totale”.

Suoni da 25 anni con il tuo storico quintetto e alterni concerti con l’altrettanto storico quartetto Devil. Quanto conta l’affiatamento in una performance jazz?

“Direi tutto, significa poter proporre musica “fresca” ogni giorno. La comunicazione sul palcoscenico, l’affiatamento, consente la trasmissione al pubblico e l’emozione dello spettacolo, che ogni volta è unico; l’emozione parte dai musicisti, dal feeling tra loro. Io seguo due linee di musica: quella appunto con i miei gruppi stabili e posso dire che quello con il mio quintetto è il progetto più longevo del jazz europeo; e poi mi apro a collaborazioni sporadiche, che possono essere solo episodiche o divenire stabili, perché quando riesco a stabilire un rapporto di interplay con nuovi partners, quando trovo cioè incontri e intesa con nuovi partners cerco di non farli scappare, perché sono preziosi per il mio arricchimento e per il risultato musicale”.
E nascono allora collaborazioni che diventano amicizia, come quella con Ornella Vanoni, affettuosa testimone di un incontro che supera le resistenze di entrambi (ai ghirigori vocali delle voci jazz per lei, alla ripetitività dei tour per lui) e crea pezzi unici, dove si capisce che non c’è distinguo tra jazz e altra musica: “la cosa importante è il feeling che si riesce a creare e l’emozione che si prova verso la musica. Per esempio, il disco Argilla è stato un matrimonio jazz–canzone, con Ornella, e la mia presenza non un cameo di commento alla canzone, ma parte del progetto musicale”.

E infine qualche anticipazione sui progetti in cantiere. Sul tuo sito si parla di strizzate d’occhio verso il mondo classico che presto potranno riservare sorprese. Possiamo avere qualche anticipazione per LSD Magazine?

“Sono già diversi anni che mi sono aperto a un interesse per la musica classica, per la musica barocca, in particolare, come la rivisitazione di Monteverdi , oppure la musica di Haendel. Sto lavorando a un progetto dedicato alla musica barocca del ‘600, un lavoro per orchestra e tromba solista, dove la mia tromba e la mia musica andranno a coprire il ruolo della voce nelle pagine che interpreteremo. E’ un progetto già avviato che potrebbe arrivare al pubblico a breve”.
Perché la tromba è uno strumento fortemente comunicativo e vicino alla voce umana. E questo “instancabile tessitore di magie, di incontri e di storie” ci lascia per lo spettacolo che lo aspetta un’ora più tardi.
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Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.