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"razzismo"Dietro questa parola così "forte" e ricca di implicazioni morali non si nasconde che una antica esigenza di tutte le forme animali del pianeta.
In natura se un branco di zebre difende il territorio, la sua erba dall’invadenza di gnu o antilopi si parla di territorialità della specie, se un leone, un branco di leoni difende il proprio territorio di caccia da altri predatori o da leoni di un altro branco, non ci si meraviglia, lo si dà per scontato, naturale.
Se invece un membro di un’altra etnia, di un altra razza o perfino di un’altra regione della stessa nazione apre un’attività commerciale vicino alla propria il fatto di sentirsi irritato più del dovuto scatena la parola magica… razzista!
Questa diversità di "vedute" ha una spiegazione. L’uomo nei secoli, nei millenni, non ha fatto altro che evolversi a velocità esponenziale rispetto agli altri abitanti della terra e in questa sua evoluzione, emancipazione, civilizzazione, ha cominciato a "sotterrare", nel subconscio, i suoi retaggi animali, le sue esigenze di "essere territoriale" e possessivo. Ciò ha portato a considerare atteggiamenti un tempo normali, come aberranti e antisociali.
Nel regno animale, quando un individuo pensa e ambisce a salire nella scala gerarchica, sa che nel momento in cui sfiderà il suo antagonista non avrà più scelta, o vincerà la sfida e "passerà di grado" costringendo l’avversario alla fuga se non alla morte o sarà lui stesso a dover pagare con la vita o con la posizione sociale la sua sconfitta. La civilizzazione dell’uomo ha fatto sì che qualsiasi scelta azzardata seguita da fallimento, comporti comunque un modo di reintegrazione, di riprova, di perdono. Il buonismo esasperato porta gli elementi meno dotati ad ambire a posizioni sociali che a rigor di merito
non potrebbero occupare e se qualcuno obietta qualcosa sul passato amorale del soggetto o alla sua scarsa preparazione ecco che si scatena la caccia al razzista. Tutti hanno diritto ad ambire a tutto. Persino il razzismo più lampante e sotto gli occhi di tutti, quello tra palestinesi e israeliani, può essere ridotto a semplice territorialità. Le spiegazioni, le implicazioni
politico sociali tra le due popolazioni manderebbeo a nozze politologi, sociologi, filosofi e chi più ne ha più ne metta, ma scava scava, alla base di tutto c’è un popolo, una razza che rivendica l’ancestralità di un territorio un tempo suo ed un altro che una volta conquistatolo (nel bene e nel male) non intende più (chiaramente) rinunciarvici.
Perché quando si parla della guerra che si sta consumando in Africa, in Ruanda, tra le etnie hutu e tutsi non si parla di razzismo? Solo perché agli occhi nostri sono entrambe di pelle scura e quindi non facilmente identificabili?
Anche quella è una spietata guerra di razze, con alle basi un fondamentalismo razzista esasperato che sta mietendo migliaia di morti all’anno, eppure fa più notizia l’immigrato stupratore linciato dalla popolazione "razzista" inferocita.
Concludendo sarebbe meglio chiamare di volta in volta col proprio nome i vari sentimenti di risentimento tra individuo e individuo o tra gruppo e gruppo piuttosto che semplifcare tutto sotto la parola in questione.
Da sempre per mortificare un nemico, o comunque qualcuno con cui risolvere una questione si usa esasperare una sua caratteristica, se si chiama dispregiativamente un vicino di casa ad esempio "capoccione" sottolineando la grandezza sproporzionata del suo cranio nessuno grida allo scandalo, se per puro caso la persona in questione è anche di colore
e il rivale privo di fantasia e lo timbra con la parola "negro" ecco… il gioco è fatto, si passa da cafone a… razzista. E’ dell’altro giorno l’esempio dei cori razzisti su Balotelli. In campo c’erano altri giocatori di colore, eppure i cori erano indirizzati solo a lui, perché lui era l’obiettivo di un gruppo di tifosi irritati ma privi di fantasia, che hanno espresso il loro disappunto nei suoi confronti nella maniera più stupidamente ovvia…

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.