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Una Teresa De Sio in veste molto particolare, Sacco e fuoco è il suo nuovo lavoro discografico, forte, grintoso, “parla in faccia” Ci ha conquistato. Nasce da una costola di un altro bell’album, A sud, a sud!, un progetto le cui canzoni sono state “scritte molto di getto e anche in sala di registrazione – spiega Teresa De Sio- siamo stati abbastanza veloci. Veloci secondo la mia logica, per me che sono sempre attenta a fare le cose nel modo migliore possibile” Il risultato? Nel disco, solo spazio ad un’energia dilagante. Ricca di contenuti e di dure verità.
Alcuni l’hanno paragonata ad una “brigantessa” in musica. Si sente proprio così?
Si, mi piace questa definizione, perchè il mio è uno spirito libero che non vuole omologarsi alle mode. Sacco e Fuoco è una canzone sul brigantaggio di ieri e di oggi. E Sacco e Fuoco sono i nomi di due briganti che hanno scelto la strada delle montagne, bevono l’acqua della pioggia e mangiano la neve. Hanno creduto in Garibaldi e al suo sogno di libertà e giustizia. Poi l’esercito sabaudo ha calpestato questo sogno. Ai poveri, si sa, non rimane mai niente nelle tasche. Allora come oggi. Ho scritto: “E pure quelli di adesso sono fetenti, chi ce l’ha (il potere o i soldi) lo mantiene per sé… e in culo a chi non ha niente!”. Credo che ci sia poco da aggiungere…
Ci parli degli arrangiamenti e delle canzoni che ama di più.
Gli arrangiamenti sono venuti fuori proprio tenendo conto del lavoro precedente, A Sud A Sud e, soprattutto, grazie al suono espresso in più di cento concerti in giro per l’Italia con il mio gruppo. Uno dei brani che preferisco si chiama Amèn (detto alla napoletana con l’accento sulla e): è la parola che sancisce lo “Stato di Grazia”. Già in Stammo Buono ,contenuto nel precedente cd, avevo scritto di Napoli con parole dure e decise, questo potrebbe essere il seguito. Il sangue e la violenza insensata -e troppo tollerata da tutti- che ogni giorno oscurano e devastano lo splendore di questa città. Poi l’incontro con il libro di Saviano apre nuove porte, spiega, getta luce. Amén è il “mischiamento” sonoro tra Napoli e Giamaica, tra tarantella e reggae, come per alludere ad un luogo altro che ancora la geografia non conosce, per poter cantare questa preghiera pagana, piena di rabbia.
C’è anche un preciso riferimento all’esperienza con il collettivo Musicanova. Un ritorno alle sue radici?
Musicanova è stata la mia formazione. Avevo vent’anni e non pensavo nemmeno che la mia vita sarebbe stata nella musica. L’esperienza di allora è stata fondamentale e potrei dire che quelle tracce sono indelebili. Ovviamente oggi la mia esperienza porta a vedere le cose con occhi diversi, ma il cuore batte sempre allo stesso modo.
In più troviamo la cover di un brano di Modugno del tutto sconosciuto al pubblico. Come l’ha riproposta?
Tambureddu è un brano abbastanza sconosciuto di Domenico Modugno. Mi hanno fatto ascoltare questo pezzo, per la prima volta Dario Salvatori e Timisoara Pinto, e così ho deciso di cantarla dal vivo per un loro programma alla radio. Questa è proprio una canzone che unifica tutto il sud. Intanto è il primo esempio di “pizzica d’autore”, evoca la tarantella napoletana e usa dialetto misto di pugliese e siciliano. Era perfetta per Sacco e Fuoco. Poi c’è da dire che Domenico Modugno ha avuto un ruolo chiave nell’evoluzione della musica italiana. A lui si deve l’invenzione di quella particolare forma di canzone che mette per la prima volta insieme la canzone d’autore e la musica popolare. Probabilmente l’unico altro grandissimo cantastorie, che in quegli anni ha praticato lo stesso approccio alla canzone, è stato Matteo Salvatore, anche lui pugliese e del quale, non a caso, Modugno fu un grande sostenitore. Io considero Modugno un mio maestro e al di là della riproposizione di alcuni suoi pezzi, quello che mi interessa, e che cerco di fare, è proseguire su quella strada che mi da la possibilità di essere un’autrice e insieme di adoperare gli strumenti e i materiali che la musica folk mi offre.
La forza e l’energia trasmessa in questo nuovo cd è coinvolgente. Testimonia che è ancora forte il potere della musica popolare?
Il progetto live è, come sempre per me, il momento più forte della mia esperienza professionale. Ho sempre detto di non amare molto la sala di registrazione. Il rapporto con il pubblico che mi segue è fenomenale. Questo nuovo tour è il ponte ideale tra la musica tradizionale e le nuove sonorità acustiche di A Sud A Sud e Sacco e Fuoco, un passaggio ideale per una maggiore conoscenza delle musiche del mondo, delle diverse culture, della continua commistione di generi e suoni. Tutto ciò nel momento di maggiore evoluzione del suono folk, sia quello puro di tradizione che quello di contaminazione, portatori entrambi di un meraviglioso bagaglio fatto di musiche, strumenti, stili e suggestioni ineguagliabili. Come dico sempre: “il folk è il rock del popolo!”
Quando l’inizio del tour dei concerti? E chi l’accompagna live?
Inizieremo dal 29 giugno e proseguiremo fino a metà settembre. E vorrei fare un concerto per ogni regione italiana, per arrivare davvero ovunque. Per me e per chi viene a sentire, il concerto è un concentrato di energia. Il gruppo è compatto e “vitaminico” a partire da Her al violino e a Upapadia alle percussioni. Quest’anno ho una nuova ritmica, Pasqualino Angelini, pugliese, alla batteria, e Vitt Longobardi, napoletano, al basso. Siamo dei veri sudisti!