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"Aushwitz"Si è chiusa ieri a Bari la mostra fotografica sugli orrori di Aushwitz "Lo Spirito del Luogo", tenutasi in piazza Ferrarese e nella Sala Murat, sotto la supervisione di Vincenzo Catalano. Pleonastico sarebbe raccontare l’emozioni che tali immagini evocano nei visitatori, tuttavia l’esposizione barese si è distinta per l’estrema lucidità con cui ha saputo diffondere il suo messaggio: Spirito del Luogo, ovvero il carattere unico ed esimplicativo di un luogo che si annida nella memoria di ciascuno come anticamera di un inferno reale. Aushwitz è stato (si evince dalla mostra) un luogo reale, e realmente esistito, la profonda ferita di ogni coscienza. Aushwitz è stato ed è un il compendio di un ideologia che non è appartenuta solo a pochi esaltati  folli individui, ma ha pervarso un intero popolo cosciente, capace di distinguere il bene ed il male ed attribuire a quest’ultimo il volto degli emarginati (omosessuali e "asociali") dei dissidenti e dei diversi (in special modo ebrei). Aushwitz è il luogo ove l’epopea del popolo che si è definito ariano e perfetto ha raggiunto l’acme più che sui campi di battaglia dell’Europa, più che nelle parate del Terzo Reich. E lo si capisce in maniera evidente nella sezione della mostra denominata "Blocco 10: Stazione sperimentale".
 Come in altri campi anche nel KL Aushwitz i medici delle SS eseguirono esperimenti criminali sui prigionieri ed anche in questi casi non è giusto definire tali scienziati semplicisticamente come dei pazzi isolati. Tutt’altro, i medici del campo erano luminari brillanti e dotati di una cultura profonda e ricercata, perfettamente senzienti, capaci di distinguere il bene ed il male. Erano il frutto della loro epoca, formati in università prestigiose da docenti anche loro convinti sostenitori della causa germanica, al cui sostegno la scienza si prodigava per dimostrare la superiorità della razza e preservarla da eventuali contaminazioni.
 Il più celebre tra i dottori di Aushwitz e sicuramente Josef Mengele, dottore in medicina ed in filosofia, costui impiegò il suo sapere e le sue spiccate capacità in esperimenti condotti sui bambini ebrei (in special modo gemelli) con l’obiettivo specifico di individuare i meccanismi biologici che inducevano ai parti gemellari, cosi che i figli di Germania potessero moltiplicarsi a dismisura ed occupare il mondo. Il prof. dottor Carl Clauberg, era altresì una tra le menti più brillanti del mondo nel campo degli studi sulla fertilità e riproduzione, suoi sono diversi metodi utilizzati tuttora nelle cure per favorire la fertilità femminile. Clauberg, ad Aushwitz, al fine di elaborare un metodo per lo sterminio biologico dei popoli altri, pratica nel blocco 10 sulle donne ebree criminosi esperimenti di sterilizzazione; nel perseguimento di questo fine rimane costantemente in contatto con diversi professori delle università tedesche che ne discutono i risultati e che spesso danno preziosi consigli. Era difatti diffusa all’epoca la discussione nell’ambiente scientifico tedesco su cosa fare dei "mezzo-sangue" e come impedire che gli impuri contaminassero i puri, di qui i vari esperimenti su come rendere sterili gli ebrei e l’introduzione di tecniche disumane come l’irradiamento dei genitali con i raggi x o l’iniezioni negli organi riproduttori di sostanze tossiche: ciò a cui si mirava era ottenere un sistema che potesse applicarsi a vaste aree geografiche e ad un numero enorme di soggetti senza che questi ne fossero consapevoli.
 Il fatto che menti geniali e tutt’altro che non civilizzati, si prestassero a tali barbare pratiche dice molto su come la cultura tedesca fosse permeata dallo spirito di quel Luogo, ma altre sono le testimonianze in questo senso, come il marchio della ditta produttrice del gas Ziklon B (quello che invadeva le camere a gas) sulle lattine ammassate tra i resti delle camere della morte, il nome dell’azienda costruttrice i forni crematori sui lunghe barre di ferro, un’ancora corposa documentazione sulle numerose ditte fornitrici o reciclanti i materiali sottratti agli e dagli ebrei detenuti nel campo (ad esempio i capelli per fare tralicci); un movimento produttivo enorme da cui dipendevano migliaia di tedeschi dai burocrati ai dirigenti, dagli operai ai militari. Un’intera società  coinvolta, in tutti i suoi settori e a tutti i livelli sociali, perché se tale non fosse stato Aushwitz e gli altri campi di concentramento non avrebbero potuto mai essere. Aushwitz è dunque un messaggio mai interrotto, che ci parla di come una società civile, in un epoca civile, sia scivolata con tanta facilità nel fanatismo di una cultura di intolleranza e morte. Aushwitz è un monito che ci mette in guardia di come sarebbe facile tuttora scivolare verso queste derive, che ci avverte che ogni intolleranza va stigmatizzata senza tentare di giusitficarla, circoscriverla o rinominarla magari alludendo alle paure del comune cittadino o ai suoi diritti di auto-difesa (vedi le ronde padane).
 Ad Aushwitz è tuttora udibile quel grido tanto salutare per l’umanità, eppure Aushwitz sta per chiudere. Le autorità polacche ritengono di dover dirottare i fondi destinati al mantenimento del sito (nominato dall’Unesco patrimonio dell’umanità) ad altri settori ritenuti probabilmente più utili. Ma Aushwitz è utile, nessun settore può dirsi più utile allo sviluppo delle nostre società, del messaggio che il campo di sterminio diffonde. Chiuderlo significherebbe impedire alle nostre coscienze di confrontarsi continuamente con quegli eventi, non riusicre più ad ascoltare l’incessante invito a stare in allerta perché è tuttora possibile, soprattutto in tempi difficili come i nostri, attribuire le responsabilità delle nostre difficoltà al diverso e all’emarginato, è sempre possibile scambiare le proprie specificità per segni di elezione e di superiorità, è sempre possibile cadere nella logica dell’intolleranza e della separazione, nella logica dell’odio e della morte.
 Aushwitz è e sarà necessario, anzi indispensabile per capire e fuggire ogni occasione di dimenticare visto che all’uomo l’esercizio della dimenticanza viene più facile dell’esercizio della memoria.