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Prima dell’avvento della scrittura, il bagaglio culturale prodotto dal genere umano era paragonabile ad un possente fiume in piena col compito di stabilire le basi della comunicazione ed insieme l’onere, per mezzo dell’oralità, di tramandare tradizioni, usi, costumi, modi di fare e di essere dei diversi popoli della terra, dove ogni luogo assumeva il proprio carattere identitario in base ai gruppi sociali che vi stanziavano. Nella realtà contemporanea, l’esigenza della trasmissione orale del sapere non si è totalmente dissolta per affogare nell’attuale ‘normalità globalizzata’ della società liquida a cui gioco forza apparteniamo, ma è sopravvissuta poiché l’uomo conserva tuttora quell’atavica necessità, genetica, d’intessere relazioni di scambio socio-culturale ascoltando le storie raccontate a voce. La lingua parlata è tra l’altro responsabile della nascita dei dialetti locali, capaci addirittura di assumere inflessioni particolari e differire non solo passando dalle città alle province, ma risultando a tratti incomprensibili soltanto passeggiando tra i diversi quartieri della stessa città. Per portare un esempio tangibile, basti pensare a tutte le realtà territoriali dell’Italia meridionale che son pregne di varie lingue dialettali, caratterizzanti le tante località autoctone. Tornando al nostro focus, occorre dire che solitamente le storie raccontate a voce, così come le antiche filastrocche, gli indovinelli, i proverbi, i modi di dire scaramantici, le poesie popolari, le invocazioni religiose, sono patrimonio delle persone più anziane. Ad ogni modo, però, le storie orali sanno coinvolgere anche la curiosità di adulti e bambini, stimolando la fantasia e l’immaginario comune. Proviamo a tornare un attimo piccini, a riunirci intorno ad un fuoco che illumina tutti i volti nella notte oscura e stare lì in religioso silenzio, rannicchiati, a guardare ed ascoltare colui che ci racconta delle storie di fantasmi! Avremmo ancora oggi la stessa paura provata parecchi anni addietro! Ma come può essere possibile riprovare le stesse sensazioni? Come può risultare talmente pregnante un così lontano ricordo, peraltro apparentemente di scarso valore? Ecco qui a svelarsi l’importanza delle storie raccontate a voce, che recano in sé il potere dei ricordi indelebili arrivando dritte al cuore di chi le ascolta e persistendo nella coscienza e nella memoria collettiva. Risulterà quasi impossibile reprimere il desiderio di volerle a propria volta raccontare a qualcuno. Al livello magico-simbolico  le peculiarità delle storie raccontate a voce è che possiedono una potenza percettiva fuori dal comune, dovuta ad un semplice motivo: la trasmissione per via orale dà origine ad una esperienza sensibile sinestetica (coinvolgendo tutti i sensi umani che si attivano), unica ed irripetibile, talmente profonda da poter penetrare la coscienza umana per restare impressa nella mente di bambini, adulti ed anziani. Durante un qualsiasi racconto, il destinatario si trova totalmente rapito dalla sonorità delle parole, dall’inclinazione dell’intonazione del narratore che usa la propria voce per definire il grado di pathos del fatto e declinarne il senso contenuto. Spesso s’incorre in piacevoli ripetizioni e ritmi sonori, in rime, che al pari della poesia e dei testi delle canzoni favoriscono la memorizzazione. Per citare un esempio, riporto un breve e semplice modo di dire dialettale tipico della città di Bari che le persone, soprattutto le più anziane, utilizzano per tenere a bada l’Augurio della casa, nonché uno spirito domestico: Buongiorno patrùne mì de case, u male ièsse e u bbuène trase, che tradotto in lingua italiana è Buongiorno padrone mio di casa, il male esca e il bene entri. Recitando queste parole è facile notare come la traduzione in italiano, utile alla comprensione collettiva, perde la sonorità e la ritmicità della rima contenuta, invece, nell’originaria versione in dialetto locale.

Si è avuto modo di conoscere questo detto popolare in occasione di una ricerca sul campo svolta a partire dal 2015 tra gli abitanti della città vecchia di Bari, col fine di condurre un’analisi antropologica ed entologico-grafica su di una credenza popolare di cultura orale, riguardante nello specifico la fata della casa, oppure detto augurio, padrone, genio, entità che la gente del luogo reputa abitare le case più antiche, convivendo con le persone. Tale credenza, ancora fortemente tramandata poiché trattasi de facto di una realtà tutt’oggi viva tra le mura della Bari antica, è conosciuta anche in altri quartieri della città, ma ancor di più, si è scoperto costituire il patrimonio di cultura orale appartenente ad ogni luogo della terra, con la propria accezione tipica in base al gruppo sociale facente parte del territorio geografico di riferimento. Monaciello in Campania, Italia meridionale, lutìn in Francia, goblin in Inghilterra e via dicendo, dalla notte dei tempi l’essere umano ha percezione di qualcosa di immateriale altro da sé, i cui racconti si sono succeduti nei secoli arrivando sino ad oggi. Ciò dimostra come il materiale di cultura orale prodotto nel corso della storia dell’uomo sia patrimonio di tutti e pertanto tutti abbiamo il diritto-dovere di salvaguardarlo continuando a tramandare le storie raccontate a voce, anche attraverso la scrittura, per non perderle nel tempo!

In copertina un ritratto di “Nella” la Cantastorie di Strada dei Bianchi Dottula, Bari vecchia di Eleonora Nacci

Eleonora Nacci

Eleonora Nacci, nata a Bari nel 1982, laureata in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bari, appassionata studiosa di Antropologia Culturale è stata cultrice della materia in Antropologia culturale sempre in accademia. Ha pubblicato la "Fata della casa - Storie popolari del borgo antico di Bari" nel 2021 ed ad oggi continua a svolgere ricerche in campo etno antropologico al livello locale a Bari.