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Se per alcuni il pomeriggio è il purgatorio della tv, oppure un obnubilante paradiso di sentimentalismi e scialbe vallette (che tanto hanno faticato per trovarsi lì, e tanto hanno dato o tanto l’ hanno data…), per altri il pomeriggio è l’inferno del non riuscire a trovare una collocazione per i propri gusti, in quel bailamme di programmi da casalinghe, film dell’ottocento, telefilm americani e schizzati vj di tendenza.
Per fortuna, anche quest’inferno ha la sua confortevole anticamera… Si chiamano Griffin e Simpson, e se chiedete ad Homer e Peter in quale girone dell’inferno vorrebbero essere sbattuti, non vi risponderebbero se non con un verso imbarazzato (tipo doh!)…Troppo difficile dover scegliere! Non sono buoni come Cucuzza e la Leofreddi, non sono simpatici né politicaly correctly, non osservano regole, non sono belli né leali. Eppure hanno un dono, la genialità della loro irriverenza, il modo amaro e spassoso di sbatterti in faccia la verità.
Dalla matita di Groening viene fuori il più detestabile ed imperfetto uomo comune della tv. Si chiama Homer Simpson (come il protagonista de “Il giorno della locusta” e come il campione uxoricida di football americano), il suo nutrimento è un concentrato a base di birra, grasso (meglio se al 100%) e tanto tanto colesterolo: idiozia allo stato puro -dovuta ad un pennello conficcato nel cervello- indolenza, incapacità e quant’altro di peggio ci sia per descrivere un perdente, capace, tuttavia, di cavarsela sempre, di ricevere molteplici premi e riconoscenze, di volare sullo spazio, dirigere un’azienda, catturare il mostro di Lockness ecc, ecc…come dire…in america ciascuno può arrivare dove vuole, specie se stupido (leggi G.W. Bush). Gli fa da contraltare l’altrettanto grasso Peter Griffin, un po’ più ingenuo e modesto, ma altrettanto capace di bassezze e volgarità (tipo passarsi un limone sul capezzolo per conquistare l’attore Lucke Perry). Ai due è impossibile imporre veti, un pulsante con su scritto “non schiacciare, estremamente pericoloso!” è la più irresistibile delle tentazioni. Ai due non c’è bisogno di chiedere se preferiscano il paradiso o l’inferno, loro hanno già scelto sulle note degli AC/DC: “Hiway to hell”!
Le loro metà (Marge e Loise) non sono poi tanto migliori. Dietro l’apparenza da buone massaie, si nascondono lussuriose creature, fedeli ai loro mariti e quindi depravate (perché non è forse depravazione amare due tipi come quelli?). Le due coppie hanno generato (i Griffin con riti sadomaso ispirati dalle canzoni dei Kiss) casi umani eccellenti: il malefico Bart, l’intelligente ed altera Lisa, la tenera omicida Maggie, l’idiota e complessato Kriss, la racchia Meg ed un pupo di un anno che risponde al nome di Stewie, prossimo dominatore del mondo, prossimo contabile dalle turbe psichiche a sfondo omosessuale. E poi a completare il quadretto gli animali di famiglia: il gatto Palla di Neve, nelle sue varie reincarnazioni, ed il cane Piccolo Aiutante di Babbo Natale per i Simpson; l’intellettuale alcolizzato cane parlante Brian, segugio (si fa per dire) dei Griffin.
Intorno a loro si muovono una svariata quantità di personaggi, più caratterizzati e vari per quanto riguarda i primi. Ed è proprio questa la prima differenza tra le due serie, oltre naturalmente ai disegni e al colore della pelle (un giallo malato per gli abitanti di Springfield). Tuttavia non si possono che accomunare nell’intento sarcastico e satirico di aspra critica nei confronti della società malata che rappresentano. Si può dire, in definitiva, che i Simpson sono stati i precursori du un genere –che annovera anche South Park e Futurama-, in un certo senso i maestri, ma si può altrettanto affermare che gli allievi, ovvero i Griffin, abbiano ampiamente superato i maestri. Il cinismo di quest’ultimi ha infatti valicato ogni limite causando loro numerose censure bigotte e polemiche. La figura del piccolo Stewie, ad esempio, è stata spesso invisa alla critica, e non totalmente a torto. Immaginate difatti un bambino di un anno appena, che parla con la loquacità di un consumato oratore, l’intelligenza e la profondità di Hemingway, il disincanto di un veterano di guerra, che di tanto in tanto organizza attentati a sua madre e che si traveste truccandosi da battona ammiccando allo spettatore. Non di meno, Stewie è il nostro personaggio preferito, la nostra coscienza stuprata dall’ipocrisia, dalle televisioni, dalle cattive intenzioni trasudanti dalla pubblicità. Stewie è il nostro sarcasmo, la nostra ironia, la nostra depravazione. I suoi inascoltati monologhi (perché gli adulti del cartone non possono sentirli) sono truci, rabbiosi ma incredibilmente divertenti; le scenette estemporanee che lo raffigurano nelle più assurde situazioni sono esilaranti. Vederlo, ad esempio, comparire dalla finestra con i bigodini ed il rossetto gridare a suo fratello di non far tardi e alla donna di quest’ultimo di “portare le chiappe fuori dalla sua proprietà” è qualcosa di unico ed irripetibile, è la celebrazione della genialità comica che ha pari soltanto in maestri come Mel Brooks o Blake Edwards.
Sono cattivi, poco raccomandabili, ma ci fanno ridere e soprattutto riflettere, perciò se questo volete chiamarlo inferno allora perché no, chi la detto si debba per forza aspirare al paradiso?