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 Sembrava solo una tenue speranza diventata qualcosa di più negli ultimi mesi, ma adesso ci siamo, ovvero siamo di fronte a quella che potrebbe divenire una vera svolta epocale: un nero alla casa bianca.
Barack Obama ha vinto le primarie democratiche negli USA, è stata una battaglia lunga e piena di colpi di scena. La senatrice Clinton ha alfine abdicato lasciando alla corrente innovatrice di Obama il ruolo di sfidante all’elite Repubblicana da otto anni al potere. E non si tratta solo di una svolta di "colore", il senatore dell’Illinois preannuncia da tempo un dialogo serrato con coloro che sono ritenuti, da una certa retorica armata, i nemici da combattere, tra i quali il più acerrimo è sicuramente l’iraniano Mahmud Ahmadinejad.

Niente più strumentale chiusura dunque, volta a rappresentare l’altro in maniera indistinta come il nemico, l’integralista, come il non-umano, il non-cristiano, quasi un anti-cristo, e accomunare in questa super-categoria degenerante tutti coloro i quali non si accodino al pensiero dominante, tutti coloro i quali pensano che nella guerra preventiva, nella contrapposizione ideologica della "guerra di civiltà" non ci sia altro che la volontà di imposizione di un sistema sul resto del mondo. Conoscere dunque l’altro e giudicare quali atteggiamenti e istanze possano ritenersi utili per il progresso umano e quali siano indubbiamente da condannare; conoscere l’altro per ridurre la distanza che permette alle due parti un irrigidimento tale da favorire l’oscurantismo (e i suoi fautori) sia in quegli stati ritenuti "canaglie" che nei bastioni della civiltà occidentale, nei quali la libertà assume senso solo quando si tratta di libertà di acquisto e di consumo (vedi "patriot act").
Si chiama "apertura" l’impresa che si appresta a promuovere Obama, un’apertura necessaria in tempi in cui  appare sin troppo vicino il baratro della guerra totale e della discriminazione senza quartiere.
E se Obama, candidato nero, è risultato essere gradito ad un ampia fetta della popolazione americana, ciò vuol dire che questa necessità di apertura, di conoscenza dell’altro non concerne solo l’enturage del neo-candidato democratico, ma è un’istanza comune, avvertita da chi attibuisce all’oscurità che lo separa dall’altro la vera fonte del terrore. Se una guerra al terrore esiste, questo terrore può essere sconfitto solo illuminando ciò che nell’oscurità ci fa paura. Nel buio sono tutti cattivi e colpendoli con la nostra discriminazione è più facile che si uniscano per aggredirci a loro volta. Dunque illuminare per capire, per conoscere, per conoscerci nei nostri limiti e nelle nostre arroganti pretese di civiltà superiore.
Il progetto di Obama affascina, naturalmente non siamo così ciecamente ottimisti da non vedere le difficolta che vi si frappongono, sappiamo che l’america è un paese dominato dalle politiche delle aziende multinazionali, e che nella maggioranza della sua popolazione risiede ancora una mentalità prettamente conservatrice, del resto, dopo otto anni di campagne discirminatorie e terrorizzanti da parte della congrega Bush, non sarà certo semplice farvi attecchire la sana-pianta dell’apertura. Tuttavia, ci speriamo, si tratta pur sempre del Paese ove tutto è possibile, perciò: yes, he can!