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L’identità etnica, risulta dal sentimento di appartenenza di alcuni individui ad un gruppo che condivide un comune "sentire", ovvero uno stesso sistema di valori e pratiche religiose, una stessa lingua, la discendenza da antenati comuni, il fatto di abitare il medesimo territorio e soprattutto una presunta storia comune. In pratica, utilizzando la definizione dello storico italiano Carlo Tullio-Altan, l’Ethnos è costituita dal ethos, logos, genos, topos e epos.
Chi percepisce tale sentimento di appartenenza, asserisce della propria identità l’unicità, la specificità e la differenza rispetto a qualunque altra identità che definisca un altro gruppo. Il riconoscimento dell’identità è quindi il riconoscimento della diversità dagli "altri", il più delle volte ritenuti inferiori (razzismo culturale: dire che tutti sono diversi ma uguali nelle loro diversità, spesso nasconde la volontà di escludere definitivamente l’altro da sé stesso). I membri del gruppo etnico, ritengono soprattutto che gli elementi costituenti l’ethnos siano immutabili e concreti.
In realtà non è esattamente così, difatti tali elementi culturali sono estremamente variabili, ma ancora di più non hanno nessun fondamento oggettivo nella realtà naturale (ad espempio è biologicamente non dimostrabile la discendenza da comuni antenati, e la lingua è il frutto di un continuo procedimento di contaminazioni e prestiti da parte di altri gruppi linguistici); lo stesso Tullio-Altan definisce tali elementi come trasfigurazioni simboliche, operate dal nostro intelletto, di alcuni tratti della realtà debitamente selezionati, enfatizzati o persino immaginati. E con l’esempio al centro del nostro articolo tutto ciò vi sarà evidente.
Senza addentrarci troppo nella teoria antropologica, possiamo semplificare dicendo che, attraverso una speciale memoria, la memoria etnica, i gruppi (etnici) selezionano o dimenticano determinati eventi del passato rielaborandoli secondo le necessità del presente, al fine di creare una base storica sulla quale posare un sistema di specifiche caratteristiche culturali (anch’esse selezionate ad hoc) tesi a distinguere gli stessi gruppi (o gruppi da loro dominati) e a definirli secondo una precisa identità.
Ma come e perché avviene questa selezione? Il come lo vedremo più avanti. Per quanto attiene allo scopo, i fatti recenti, la lunga teoria di rivendicazioni politiche delle etine (per citarne alcune: gruppi etnici dell’ ex-Jugoslavia e dell’ ex-URSS), ma anche la totalità dei casi etnografici studiati, dimostra che tale selezione enfatizzata avviene in corrispondenza di un conflitto per l’accesso al potere di una data regione, ovvero l’identità di un gruppo etnico nasce all’interno di una strategia per accedere a determinate risorse. Da quanto detto l’etnia è un invenzione, dall’efficacia tuttavia indubbia.
Spesso, tali risorse vengono contese dal gruppo etnico ad un potere centrale, lo Stato, ed è questo l’esempio della Lega Nord, eclatante per il modo radicale con cui i leghisti hanno costruito la loro identità. Questo movimento, nato negli anni Novanta in concomitanza alla crisi dei partiti italiani, accanto ad un linguaggio estraneo ai registri linguistici del discorso politico nazionale, ha tentato di attivare una vera e propria "configurazione etnica". Secondo l’inchiesta condotta dal sociologo Roberto Borcio, tale configurazione fa leva, in primo luogo su valori culturali (ethos) e sull’enfatizzazione della storia comune (l’epos), e in secondo luogo, su una presunta discendenza da non meglio identificati antenati (genos), naturalmente sull’abitare in "padania"(topos) e su un dialetto simile(logos). Come detto prima, tali elementi non hanno riscontro oggettivo per un osservatore esterno, se non il fatto di abitare in uno stesso luogo, gli stessi dialetti padani sono molto diversi e risentono di contaminazioni di varia provenienza (spagnola, tedesca, francese, latina, ladina ecc…), essi sono perciò trasfigurazioni simboliche di alcuni elementi della realtà selezionati ed esaltati per affermare l’identità padana e la loro differenza rispetto alla comunità nazionale e soprattutto dalle comunità di immigrati. Essendo perciò composta da elementi attinenti al simbolico, tale identità è alimentata da una serie di simboli e riti, luoghi e oggetti altamente rappresentativi. Tra questi vi sono la città di Pontida (teatro del giuramento che unì i comuni medievali contro Barbarossa), il fiume Po (simbolo del territorio etnico, quindi fiume sacralizzato) e su tutti il carroccio.
Cos’è il carroccio? Il carroccio non è altro che un carro militare usato nel medioevo dalla lega dei comuni nella lotta per la loro autonomia, ma non solo da questi visto che era uno strumento comune a molti altri eserciti del tempo. E’ inoltre un luogo, in quanto punto di aggregazione civile e militare. Il carroccio costituisce un ottimo esemplare di trasfigurazione di luogo-oggetto simbolico, attraverso il lavoro della memoria etnica esso è stato infatti decontestualizzato, selezionato, enfatizzato, ricreato per definire l’identità della Lega, ma anche della stessa Italia risorgimentale e postunitaria.
Scomparso come oggetto reale già alla fine del ‘200, sopravvisse nella fantasia grazie ai racconti amorosi medievali come metafora delle battaglie amorose. Dalla fine del ‘700 (epoca dei nazionalismi) assunse la fama di simbolo del patriottismo italico e del movimento risorgimentale lombardo, nella lotta all’invasore tedesco. Luoghi come Legnano e Pontida, e personaggi come Alberto da Giussano, risorsero alla ribalta. L’antropologo Ernst Voltmer afferma che, il carroccio <<da oggetto di storia locale antiquaria, caratterizzata da orgoglioso municipalismo, si trasforma in simbolo della propaganda patriottica, dell’ unità nazionale. A contribuire alla fama del carroccio furono inoltre Giovanni Berchet e Massimo d’Azeglio che lo ritrasse in un dipinto ritrasformandolo in oggetto reale. Lentamente, con il diffondersi dell’alfabetizzazione e dei manuali scolastici, è divenuto evocativo del riscatto italiano dal dominio straniero. Persino il fascismo, pur legato alla romanità imperiale, ne fece uso mirante a corroborare l’istituzione del podestà.
Per i padani, infine, il carroccio <<è un luogo della memoria, senza alcun bisogno che in coloro che oggi vestono elmi e corazze crociate nasca il sospetto di avere poco a che vedere, sul piano della continuità della stirpe e della tradizione culturale, con i combattenti di Legnano.>> (Ugo Fabietti, L’identità etnica, Cacucci editore-Bari)
In conclusione, bisogna quindi ben tenere a mente che, quando si parla di conflitti etnici, non si sta parlando di conflitti tra culture, modi di essere o di vedere le cose. Dietro, come la scienza sociale dimostra, non c’è che la rincorsa alle risorse e al potere. Tuttavia non bisogna affatto stigmatizzare la diversità tra le culture, né si può ridurla ad una cultura omologata e di massa, si deve tenerne conto nella misura in cui la diversità dell’ "altro" contribuisce a migliorare il "noi". Ciò che è necessario evitare è che le diversità siano irriducibili le une rispetto alle altre, cioè che si creino dei comparti stagni in cui relegare le diverse culture, primo perché non sono mai oggettivamente diverse, secondo perché così si favorirebbero gli interessi di quei gruppi che vorebbero relegare gli altri in nuove forme di apartheid.