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Yani, il protagonista del romanzo “Un Campari a Veracruz” di Gianni Morelli è un sarto italiano trapiantato in Messico; Veracruz è diventata la sua casa ma egli non ha mai afferrato davvero la sua natura, per lui troppo sfuggente – «Nella mia anima Veracruz è una domanda. È stato così fin dall’inizio. Ed è ancora così, dopo tutto questo tempo. Eppure sono qui, sul lungomare del porto, davanti all’Hotel Emporio, con i suoi balconi e la terrazza dell’ultimo piano. A osservare cose che non accadono». È sera, e Yani contempla il porto di Veracruz da una posizione privilegiata: l’Hotel Emporio è molto lussuoso, ed egli si trova lì perché ha un appuntamento con un potente politico locale, per prendergli le misure per un abito. L’uomo sta facendo tardi, e così il protagonista si perde nella contemplazione del Golfo: in particolare è attratto da una limousine bianca parcheggiata sul molo; improvvisamente, da una nave poco distante vede scendere una donna dell’incedere elegante – «Posa il piede sul molo come se l’America non aspettasse che quel momento da cinquecento anni. Sissi di Baviera, o Giuseppina di Beauharnais, o Isabella di Siviglia o più probabilmente una Regina azteca, capelli scuri lunghi fino a ricoprirle le spalle, scende senza fretta da una carrozza d’acciaio lunga cento metri e trainata da quarantamila cavalli». Quella donna misteriosa e affascinante sale sulla limousine bianca, che parte e si dirige proprio verso l’Hotel Emporio: Yani, sebbene sia all’ottavo piano, decide di provare a salutare la donna, appena scesa dalla vettura; lei miracolosamente lo ricambia e gli sorride, per poi rientrare nella limousine e partire, sparendo nella notte. Questo fugace incontro è il cuore dell’opera, perché da questo momento ogni dialogo di Yani sarà finalizzato a raccontare della sua passione per la Regina azteca, e ogni suo gesto sarà orientato a ritrovare lei e la sua limousine bianca. Gianni Morelli presenta un romanzo intriso di realismo magico, in cui ciò che più conta è la condivisione delle storie, la comunicazione tra gli esseri umani: il protagonista intreccerà delle significative relazioni per trovare notizie sulla donna, scoprendo allo stesso tempo la complessità e la bellezza della natura umana. E nel mentre il lettore viene affascinato dalle atmosfere messicane e dai caratteristici villaggi della Sierra madre, ed è possibile che in lui nasca il desiderio di trovarsi in un bar dove c’è un cameriere che serve Campari, e in cui si raccontano storie pazzesche e si realizzano sogni impossibili.

Redazione

Lsd sta per Last smart day, ovvero ultimo giorno intelligente, ultima speranza di una fuga da una cultura ormai completamente omologata, massificata, banalizzata. Il riferimento all'acido lisergico del nostro padre spirituale, Albert Hofmann, non è casuale, anzi tutto parte di lì perché LSDmagazine si propone come cura culturale per menti deviate dalla televisione e dalla pubblicità. Nel concreto il quotidiano diretto da Michele Traversa si offre anzitutto come enorme contenitore dell'espressività di chiunque voglia far sentire la propria opinione o menzionare fatti e notizie al di fuori dei canonici mezzi di comunicazione. Lsd pone la sua attenzione su ciò che solletica l'interesse dei suoi scrittori, indipendente dal fatto che quanto scritto sia popolare o meno, perciò riflette un sentire libero e sincero, assolutamente non vincolato e mosso dalla sola curiosità (o passione) dei suoi collaboratori. In conseguenza di ciò, hanno spazio molteplici interviste condotte a personaggi di sicuro spessore ma che non trovano spazio nei salotti televisivi, recensioni di gruppi musicali, dischi e libri non riconosciuti come best sellers, cronache e resoconti di sport minori, fatti ed iniziative locali che solitamente non hanno il risalto che meritano. Ma Lsd è anche fuga dal quotidiano, i vari resoconti dai luoghi più suggestivi del pianeta rendono il nostro magazine punto di riferimento per odeporici lettori.