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"2010601_8431ea_768x510"“Pupi siamo! Lo spirito divino entra in noi e si fa pupo. Pupo io, pupo lei, pupi tutti. Dovrebbe bastare, Santo Dio, esser nati pupi così per volontà divina. Nossignori! Ognuno poi si fa pupo per conto suo: quel pupo che può essere o che si crede d’essere. Perché ogni pupo, signora mia, vuole portato il suo rispetto, non tanto per quello che dentro di sé si crede, quanto per la parte che deve rappresentar fuori. A quattr’occhi, non è contento nessuno della sua parte: ognuno, ponendosi davanti il proprio pupo, gli tirerebbe magari uno sputo in faccia. Ma dagli altri, no; dagli altri lo vuole rispettato. E così, ognuno!” (Ciampa – Atto primo)

In quanti modi si può leggere un capolavoro? Da quali angolature si può fotografare un monumento? Con quali e quanti occhi si può ammirare un’opera d’arte? Difficile rispondere, essendo, talvolta, infinite le potenzialità. Prendiamo ad esempio “Il berretto a sonagli” di Luigi Pirandello, la sublime (come del resto ogni opera del Maestro) commedia scritta ispirandosi alle sue due novelle “La verità” e “Certi obblighi”; noi, cresciuti a pane e teatro, conserviamo il ricordo del personaggio principale, il modesto Ciampa, scrivano a servizio del Cavaliere Fiorica, come di un uomo cupo, serio, tenebroso, spesso oscuro nelle sue – apparentemente insensate – elucubrazioni, e questa reminiscenza si deve principalmente alle epiche interpretazioni che ne hanno dato i Grandi del passato, tra cui Salvo Randone, Paolo Stoppa e, soprattutto, Eduardo De Filippo, che ne trasse una splendida messa in scena, immortalata in una successiva edizione televisiva del 1981 (cui siamo sinceramente affezionati) in cui Eduardo, alle prese con il personaggio di Ciampa, gareggiava in bravura con il figlio Luca che ricopriva il ruolo di Fifì, risalente al periodo di grande amicizia fra i due commediografi che li portò prima a rappresentare Il berretto e Liolà in versione napoletana ed infine a comporre a quattro mani “L’abito nuovo”. Ebbene, non molti sanno che la versione in italiano, quella che tutti conosciamo, rappresentata per la prima volta nel 1923, ha un predecessore. Nell’agosto del 1916 Pirandello scrive una prima versione della commedia completamente in lingua siciliana con il titolo “A birritta cu’ i ciancianeddi” per la Compagnia del capocomico Angelo Musco, che la mette in scena quasi un anno dopo e che, in realtà, viveva in modo conflittuale il matrimonio artistico con il Maestro, giungendo a chiamarlo in modo dispregiativo “il professore”; i continui dissapori tra i due ebbero l’effetto di far arbitrariamente rappresentare dall’attore un versione molto ridotta dell’opera, non più incentrata sul personaggio di Beatrice, come Pirandello avrebbe voluto, bensì su Ciampa, non a caso interpretato da Musco. Una storia che ha dell’assurdo – quasi una commedia nella commedia – vuole che quando l’autore, stanco degli abusi di Musco sulla sua creatura, si sia deciso a rimettere mano alla commedia riscrivendola in italiano, non sia più riuscito a ritrovare l’originale manoscritto, cosicché la nuova stesura assomigliava in modo quasi speculare all’edizione ridotta, con la gravissima perdita della quasi totalità degli esilaranti effetti comici della versione in siciliano, legati soprattutto al personaggio maschile di cui lo stesso ideatore scriveva: “il carattere di Ciampa è pazzesco: questa è la sua nota fondamentale. Gesti, andatura, modi di parlare: pazzeschi; cosicché dovrà nascere il sospetto e la paura che, a un dato momento, egli possa uccidere”. Ecco spiegato – molto brevemente – il motivo per cui, ancora oggi, siamo portati a pensare a quello che, con tutta probabilità, degli eroi pirandelliani è il più moderno ed il più umano, pronto ad accettare il tradimento e la pena di spartire l’amore della propria moglie pur di non perderla e non – come afferma Beatrice – in quanto condizionato dal potere del Cavaliere, come ad una delle più perfette personificazioni di una umanità tormentata sino allo strazio, non come ad una maschera fortemente grottesca, irridente anche della nostra attuale società.
All’ottimo Valter Malosti ed al suo Teatro di Dioniso si deve la nostra incondizionata riconoscenza per aver colmato questo inspiegabile vuoto con una encomiabile azione di recupero della versione originale, rimettendo al centro della macchina teatrale la figura di Beatrice (una eccelsa Roberta Caronia), moglie del ricco e potente Cavalier Florica, che, scoperto, grazie ai servigi dell’amica “Saracena” (una divertentissima Paola Pace), il tradimento del proprio coniuge con Sarina (Roberta Crivelli), la giovane e bellissima moglie dell’impiegato Ciampa (lo stesso Malosti in una superba interpretazione), in un impeto di utopica giustizia decide di non sottostare alle ferree leggi societarie e di denunciare – letteralmente – il marito fedifrago al commissario Spanò (uno scoppiettante Paolo Giangrasso), facendo esplodere uno scandalo assolutamente inaccettabile per la piccola comunità sicula; pur avendo – forse – colto, grazie ad uno stratagemma, in flagrante i due amanti, Beatrice vedrà la sua voglia di verità e di cambiamento fortemente contrastata dall’anziana madre (la stessa Pace), dal fratello Fifì (un convincente Vito Di Bella) e dall’affezionata serva nutrice Fana (una bravissima e coinvolgente Cristina Arnone), che sembrano averla convinta a tornare sui propri passi, accettando il ruolo che la società le imporrebbe, allorquando irrompe Ciampa, ormai un buffone (da qui il titolo della commedia che richiama il copricapo dei giullari di corte) per tutto il paese, che propone due soluzioni per riappropriarsi – agli occhi degli altri – del suo onore: o commette una strage o la signora Beatrice dovrà professarsi pazza, ritirandosi in manicomio per qualche mese, soluzione quest’ultima su cui, sotto il pressante auspicio di tutti i presenti, cadrà la scelta della giovane donna tradita, tigre ferita ed inferocita che resta vittima della sua stessa trappola, prima giudice e spietata carnefice e poi martire per mano delle convenzioni e delle etichette su cui ogni comunità si costruisce.
La pièce, giunta al Teatro Kismet per una sola affollatissima – con spettatori persino a ridosso del palco – replica inserita nell’annuale sorprendente cartellone dei Teatri di Bari, nella visionaria lettura di Malosti si riappropria di una sconosciuta vivacità, di una coinvolgente effervescenza, di una divertentissima esuberanza, enfatizzando la trama farsesca, grazie anche al ponderato utilizzo della infinita bellezza che scaturisce dalla musicalità espressionista del dialetto siciliano, e soprattutto l’humour nero di cui l’opera è pregna, pur lasciando che riaffiorino le asperità di un testo difficilmente digeribile e politicamente scorretto, nonché la profondità e le tematiche care ai protagonisti pirandelliani, qui resi con tratti ben evidenziati e particolarmente differenziati (a partire dagli efficaci costumi di Alessio Rosati), sempre all’affannosa ed affannata ricerca di un significato in una realtà che si rivela irreale, irrisolta e deformante (come i tanti specchi presenti nell’incantevole scena di Carmelo Giammello, perfettamente illuminata dalle luci di Francesco Dell’Elba), che qui viene maggiormente rimarcata alla stregua di una malcelata indagine tra le pieghe e le piaghe dell’infinito – e, quindi, ancora attualissimo – contrasto tra classi e sessi, coi padroni / mariti impegnati a rendere esplicito il proprio dominio ed i subalterni / mogli alla ricerca di un riscatto, in una società che prima sembra accettare e poi giunge a bollare di follia il rifiuto di Beatrice di sottostare alle sue leggi, cosicché si possa dare solo l’ingannevole illusione che tutto sia possibile, che tutto possa cambiare ben sapendo che nulla potrà cambiare, che tutto cambi affinché nulla cambi. Mai.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.