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Quello che non so di lei è un ottimo thriller dell’ottantaquattrenne (ottantacinque anni il prossimo agosto) Roman Polanski.
In questa coproduzione franco-polacca il controverso e straordinario regista offre una nuova straordinaria prova, anche se alcuni detrattori considerano l’opera, il cui titolo originale è D’apres une histoire vrai un suo film "minore" e più appartenente al co-sceneggiatore Oliver Assayas che allo stesso Polanski.
Quisquilie, diciamo.
Questo thriller psicologico attiene più alla psicanalisi e tratta della tematica dell "altro",o "altro sé".
In questo caso la scrittrice di grande successo, Delphine, interpretata da Emmanuelle Seigner (51 anni) , moglie nella vita del regista e la cui maturità le ha imposto un volto meno affascinante e più sofferto ( ma donandole una grande credibilità come attrice) incontra durante un firmacopie la più giovane (e bella) Eva Green (37 anni) nel ruolo di Lei (Leila).
L’apparizione della Green è adrenalinica, perché il personaggio di Lei sembra da subito un folletto o un poltergeist.
Il rapporto tra le due (di amicizia) è voluto principalmente da "Lei" che è una ghost writer di personaggi famosi.
E’ ben evidente come il legame di amicizia tra le scrittrici sia in realtà una metafora di ben altro.
Innanzitutto della questione se si possa imbastire all’improvviso un’amicizia disinteressata tra due donne mature e altolocate.
La sceneggiatura evidenzia che la cosa sia possibile, ma soltanto perché la più fragile delle due (Delphine) accusa stanchezza nel produrre sempre nuovi best seller ispirati a fatti pregressi della sua famiglia, nei quali è coinvolta l’anziana madre, ormai scomparsa.
Inoltre Delphine è stata "abbandonata" dai figli, nel senso che essi, ormai adulti (un maschio e una femmina) hanno scelto vie professionali impegnative che necessitano la lontananza. In più la donna intrattiene una relazione con un giornalista letterario François, interpretato da Vincent Perez, ma a distanza: ognuno abita in casa propria e lui è sempre in viaggio.
Il film spiega con eleganza l’amicizia nascente che però diventa problematica a causa dell’invidia e della personalità borderline di Lei (Eva Green).
La storia a metà film si attesta sulla descrizione delle relazione che è imposta dalla più volitiva (Lei) mentre è accettata con passività, ma anche con molta curiosità, da Delphine.
Lo scontro tra le due interpreti vedrebbe favorita, ma soltanto all’inizio, la segaligna Eva Green.
Epperò la maturità della Seigner ha la meglio: il suo ruolo di intellettuale pacifica ma non pacificata offre più sfumature.
Invece il carattere di Lei, soprattutto nella seconda parte, appare ripetitivo e macchiettìstico, quasi da thriller "normale".
Se non fosse però che la forza del film risiede appunto nel confronto-scontro tra due personalità molto forti.
Gli altri personaggi di fatto scompaiono: le due dive (o meglio, anti-dive) sono contornate da attori bravi ma con parti fugaci i (l’anziana chaperon di Delphine agli incontri letterari, un’arrabbiatissima direttrice scolastica, un’anziana vicina di casa, i fan che smaniano per una dedica) mentre Vincent Perez,nel ruolo del compagno di Delphine ha un ruolo di raccordo.
La pellicola offre le seguenti altre problematiche, o tematiche: la solitudine degli scrittori, la voglia di successo e la frustrazione di coloro che aspirano alla scrittura, la solitudine, ancora ( a livello di affetti) della protagonista che ha sostituito la famiglia con l’adesione totalizzante alla creazione narrativa e a un pubblico di lettori adorante, ma acritico.
E’ certo che nel secondo tempo il tutto può (o rischia) di diventare claustrofobico con i due caratteri femminili ripresi sempre a strettissimo contatto.
Ma così non è perché trattasi di un’opera evoluta e chiara, pur nella frammentazione della narrazione, che alla fine svolta dal dramma al thriller "quasi- horror", fino al problematico colpo di scena finale che rimette in discussione tutto.
Emmanuelle Seigner riesce a vincere la sfida con Eva Green come già sottolineato in quanto il suo personaggio dolce e paziente, ambiguo ma solo di striscio, piace di più dell’altro, relegata com’è la più giovane attrice nel ruolo di quel tipo di megere che furono portate sugli schermi nei lontani anni Sessanta da attrici mature come Bette Davis e Joan Crawford .
Il film non è riuscito ad entrare nella top ten degli incassi ma sta avendo un buon riscontro tra quel pubblico maturo ( dai cinquanta anni e più) che segue con interesse e da anni l’opera di Polanski la cui ultima uscita risale al 2013 (Venere in pelliccia).