Tempo di lettura: 7 minuti

"wizz"There’s a beautiful, kind of seductive trap in being autobiographical in our writing of songs: We just get stuck in our own syrup, and it’s so personal that it almost can be embarrassing to the listener. Sometimes I’ll listen to artists that I love, and I’ll be like: ‘Oh my gosh. Can I just not be locked in your bedroom with you?’ So it’s a beautiful challenge to try and personal, and find that universal undercurrent where we are really talking about what it means to be human, where it doesn’t smell like my sweat.

Inutile nasconderlo: ci sono voci diverse dalle altre, anzi completamente differenti da tutte le altre, non solo per essere uniche, incomparabili, inimitabili, ma anche e soprattutto per la loro capacità di parlare direttamente al cuore, risvegliando sopiti ricordi talmente intimi da non poter essere condivisi con alcun altro che non sia se stesso, attimi di gioia perduti nel tempo, memorie finanche ancestrali che credevamo definitivamente perdute e che, invece, risorgono prodigiosamente in pochi istanti al solo levarsi delle prime note profuse da ugole capaci di tale magia. Ebbene,Lizz Wright detiene senza ombra di dubbio una di queste meraviglie della natura; lo sappiamo da tempo e lo confermiamo oggi dopo aver assistito in adorazione al concerto che ha tenuto al Teatro Palazzo di Bari nell’ambito dell’annuale ottimo – come sempre – cartellone dell’associazione Nel gioco del jazz.

Non ancora quarantenne, l’artista originaria della Georgia è già un’icona perfetta della cantante jazz e, soprattutto, gospel, senza dubbio il genere più vicino alle sue corde non solo per “nascita”, essendo figlia di un Pastore, ma anche per la sua inconfondibile vocalità, calda e possente, capace di creare vellutate atmosfere senza l’aiuto di diavolerie elettroniche e simili, che l’ha portata nel 2000 ad entrare nel “Quartetto Gospel di Atlanta”; il suo primo album da solista, “Salt” del 2003, fu immediatamente un successo, raggiungendo il secondo posto nella classifica Billboard Top Contemporary Jazz del 2004, poi bissato da “Dreaming wide awake” del 2005 che giungeva sino al primo posto nella medesima classifica, cui hanno fatto seguito “The orchard” nel 2008, “Fellowship” nel 2010, progetto ambizioso che mescolava pagine evangeliche e musiche di Jimi Hendrix, Eric Clapton e Gladys Knight, sino a “Freedom & surrender” del 2015, il cui singolo “Lean in“ è stato inserito nella playlist 2016 dell’ex presidente americano Barack Obama. In attesa del nuovo lavoro discografico, la cui uscita è prevista per la fine della prossima estate, Lizz delizia il mondo dal vivo con la sua voce blues, accarezzando i cuori degli spettatori, addetti ai lavori e non, con concerti che hanno dell’incredibile, come quello di Bari, partito, dopo la sempre preziosa presentazione del Maestro Roberto Ottaviano, con tre opere d’arte di una bellezza talmente folgorante da accecare anche il critico più navigato: “The nearness of youdi Hoagy Carmichael, cantata con il solo accompagnamento del pianoforte, una versione per voce e percussioni di “Nature boy” ed una fantastica “Old man” di Neil Young, uno dei capitoli più deliziosi di quel capolavoro senza tempo che è “Harvest”, recuperata da chissà quale curva della memoria di Lizz. A capo di un quartetto di tutto rispetto, che poteva vantare Kenny Banks alle tastiere, Martin Kolarides alla chitarra, Nicholas D’Amato al basso e Che Marshall alla batteria, la Wright ha fatto innamorare anche il pubblico barese, al punto da spendersi in vere ovazioni nel tentativo di non farla andar via; una apoteosi con cui, senza dubbio, si è avuto anche modo di salutare una delle più belle voci di tutti i tempi, un Signore della Musica che abbiamo avuto la fortuna e l’immenso onore di poter applaudire dal vivo in quello che resterà uno dei concerti più splendidi della nostra vita musicale, volato troppo presto in cielo ad aggiungersi all’immenso coro degli Angeli, lasciandoci tutti orfani della sua impareggiabile Arte e del suo incommensurabile sorriso: siamo certi che Lizz non se la prenderà a male se, in finale di articolo, ci concediamo di salutarlo in tutta semplicità.

Ciao Al Jarreau e Grazie.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.