Tempo di lettura: 7 minuti

"segni"Due sono i motivi storici di discussione della Presidenza della Repubblica del Democristiano Antonio Segni: l’elezione avvenuta al nono scrutinio con i voti determinanti del Movimento Sociale Italiano e dei Partiti Monarchici, e durante la Presidenza il presunto appoggio presidenziale al così detto “Piano Solo” ideato dal Gen. Giovanni De Lorenzo, Comandante dell’Arma dei Carabinieri.

Allo scadere del settennato di presidenza di Giovanni Gronchi, Moro non vedeva di buon occhio le manovre del presidente dell’ENI, Enrico Mattei, miranti alla rielezione del Presidente uscente. Propose quindi e ottenne dal suo Partito la candidatura di Antonio Segni, ritenendo che l’elezione di quest’ultimo, che era un conservatore moderato, fosse necessaria per rassicurare le correnti della destra DC e guadagnare anch’esse alla sua politica di apertura al Partito Socialista Italiano. Fu l’unica volta che un candidato ufficiale della DC alla presidenza della Repubblica uscì vittorioso dal responso delle urne. Il partito, tuttavia, nei primi otto scrutini, non votò mai compatto per il politico sassarese, in quanto Gronchi ottenne sempre tra i 20 e i 45 voti, mentre altri consensi furono dispersi tra Attilio Piccioni (addirittura 51 voti al terzo scrutinio), Cesare Merzagora (tra i 12 e i 18), Calogero Volpi ed altri. Tutti rappresentati delle correnti della Destra DC ad eccezione del Presidente uscente. Anche nello scrutinio decisivo vi furono 51 schede bianche di aleatoria attribuzione, comunque Segni fu eletto Presidente della Repubblica Italiana il 6 maggio 1962 al nono scrutinio, con 443 voti su 842, comprensivi dei consensi del PLI, MSI e dei Monarchici, che avevano cominciato a votarlo sin dal terzo scrutinio contro i 334 di Giuseppe Saragat votato da PSDI, PSI, PCI e PRI sin dal terzo scrutinio, in precedenza il PSI votò Pertini ed il PCI Umberto Terracini.

Prestò giuramento l’11 maggio 1962 e il giorno dopo respinse le dimissioni di cortesia presentategli dal Presidente del Consiglio Amintore Fanfani che, pertanto, restò in carica sino alle elezioni politiche dell’aprile 1963, con la partecipazione di Socialdemocratici e dei Repubblicani e l’appoggio esterno del PSI.

Segni aveva sempre ricoperto dal dicembre 1944 all’elezione Presidenziale del 1962 un ruolo Governativo, inizialmente Sotto-Segretario all’Agricoltura, ne fu, dopo l’istituzione del Ministero, Ministro in ben cinque Governi, è stato Ministro della Pubblica Istruzione, della Difesa, dell’Interno e degli Esteri, inoltre, Presidente del Consiglio dal 6 luglio 1955 – al 15 maggio 1957 con un Governo centrista DC-PLI-PSDI e dal 15 febbraio 1959 – al 23 marzo 1960 con un monocolore DC sostenuto dai Partiti di Centro. Come Ministro per l’Agricoltura fece approvare un’importantissima riforma legislativa che prevedeva l’espropriazione dei terreni ai latifondisti per assegnarli ai coltivatori diretti.

I suoi due anni al Quirinale furono contrassegnati da tensioni con il blocco formato da Ugo La Malfa, dal PSI, PSDI ed una parte della DC che spingeva per riforme sociali e strutturali, invise ad un conservatore come Segni. Fu anche contrario alla candidatura Montini al soglio pontificio, tanto da far pervenire, tramite Luigi Gedda, il suo dissenso ai cardinali prima che entrassero nel conclave.

Il 16 maggio 1963, Fanfani, logorato dall’insuccesso alle elezioni politiche del 1963 rassegnò le dimissioni del suo Governo. L’incarico venne affidato al segretario democristiano Aldo Moro, intenzionato a varare un nuovo governo DC-PRI-PSDI appoggiato esternamente dal PSI, ma gli organi direttivi del Partito Socialista fecero mancare la ratifica dell’accordo programmatico già concordato con Nenni e il segretario DC fu costretto a rinunciare.

Segni designò allora il Presidente della Camera, Giovanni Leone, specificando che, in caso di ulteriore fallimento, avrebbe sciolto il neo eletto Parlamento e indetto nuove elezioni. Leone riuscì allora a costituire un monocolore DC di respiro transitorio – e, per tale motivo, detto dalla stampa «balneare» – con l’appoggio esterno di PRI, PSDI e PSI. Finalmente, nel dicembre 1963, Aldo Moro poté varare il primo Governo di centro-sinistra della Repubblica italiana, con la partecipazione del PSI.

Come il suo predecessore, Segni era particolarmente influenzato dalla personalità del generale Giovanni De Lorenzo, comandante dell’Arma dei Carabinieri, ex partigiano ma di convinzioni monarchiche. De Lorenzo, il 25 marzo 1964, si era incontrato con i comandanti delle divisioni delle Città più importanti  e aveva proposto loro un piano finalizzato a far fronte a una ipotetica situazione di estrema emergenza per il Paese. Per l’attuazione del piano si prevedeva l’intervento dell’Arma dei Carabinieri:  il nome di "Piano Solo". Era inclusa una lista di 731 uomini politici e sindacalisti di sinistra che i carabinieri avrebbero dovuto prelevare e trasferire in Sardegna nella base militare segreta di Capo Marrargiu.

Il piano prevedeva inoltre il presidio della Rai-tv, l’occupazione delle sedi dei giornali di sinistra e l’intervento dell’Arma in caso di manifestazioni filo-comuniste.

Il 10 maggio De Lorenzo presentò il suo piano a Segni, che ne rimase particolarmente impressionato. Tuttavia molti storici e giornalisti dell’epoca ritengono che non fosse nelle intenzioni del Presidente Segni eseguire un colpo di Stato, ma agitarlo come uno spauracchio a fini politici.

Pochi giorni dopo, il 25 giugno 1964, il primo Governo Moro fu battuto sulla discussione del bilancio di previsione del Ministero della Pubblica Istruzione, nella parte che assegnava maggiori fondi per il funzionamento delle scuole private. Pur non avendo posto la questione di fiducia, Moro rassegnò le dimissioni.

Il 3 luglio, durante le consultazioni per il conferimento del nuovo incarico di governo a Moro, Segni esercitò pressioni sul leader socialista Nenni per indurre il suo Partito a uscire dalla maggioranza governativa, perché osteggiato dalle forze economiche e gli comunicò che comunque avrebbe rimandato alle Camere, per riesame, il disegno di legge urbanistica Sullo – Lombardi, qualora fosse stato approvato.

Il 15 luglio, Segni convocò e ricevette al Quirinale sia il Capo di Stato Maggiore della Difesa, sia il generale De Lorenzo. Il giorno successivo De Lorenzo si recò a una riunione dei rappresentanti della DC, per recapitare un messaggio del presidente Segni. Il contenuto del messaggio non è stato diffuso; alcuni storici, tuttavia, ritengono che si riferisse alla disponibilità del Presidente, qualora le trattative per la formazione di un nuovo Governo di centro-sinistra fossero fallite, di dare mandato al Presidente del Senato Cesare Merzagora di costituire un "governo del Presidente".

Il 17 luglio, invece, Moro si recò al Quirinale, con l’intenzione di accettare l’incarico per formare un nuovo governo di centro-sinistra. Durante le trattative, Nenni aveva accettato il ridimensionamento dei suoi programmi riformatori. Su L’Avanti!  del 22 luglio si giustificò in tal modo di fronte ai suoi elettori e compagni di partito scrivendo che ne “fu quasi costretto al fine di evitare un Governo il cui programma sarebbe stato dettato da ConfIndustria e da ConfAgricoltura e di segno tanto conservatore da far impallidire quello protagonista degli eventi del Luglio 1960”.

Il 7 agosto 1964, durante un concitato colloquio con l’esponente Socialdemocratico Giuseppe Saragat e il Presidente del Consiglio dei Ministri Aldo Moro, Segni fu colpito da trombosi cerebrale. Nessuno dei presenti ha mai fatto dichiarazioni sul contenuto del colloquio. Ne seguì l’accertamento della condizione d’impedimento temporaneo, avvenuto con atto congiuntamente firmato dai Presidenti delle due Camere e dal Presidente del Consiglio; il 10 agosto assunse le funzioni ordinarie di supplente il Presidente del Senato Cesare Merzagora, mantenute fino al 29 dicembre.

Pur trattandosi di grave malattia, non si arrivò mai alla dichiarazione di "impedimento permanente", che avrebbe comportato una nuova elezione, e la situazione fu risolta dalle dimissioni volontarie, avvenute il 6 dicembre 1964.

Divenne quindi Senatore a Vita in quanto ex Presidente della Repubblica e morì a Roma nel 1972, all’età di 81 anni.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.