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"Arco-di-Ulisse"
In un precedente intervento (vedi https://www.lsdmagazine.com/chi-ha-ucciso-realmente-i-proci-ulisse-nessuno-filottete-il-dilemma-in-un-libro-di-alberto-majrani/4115 ), abbiamo visto come tutto il racconto dell’Odissea diventi estremamente logico e realistico una volta che si cambi drasticamente la prospettiva della narrazione Omerica. Ulisse non era… Ulisse, ma colui che Ulisse stesso presenta come il migliore degli arcieri achei, cioè Filottete: un mercenario ingaggiato da Telemaco per interpretare il Re di Itaca e liberarsi di tutti i Proci. Esaminiamo ora in questa luce una delle scene più importanti dell’Odissea: quella della sfida con l’arco. Come si ricorderà, i Proci hanno tentato inutilmente di tendere l’arma, ma ora il compito spetta ad Ulisse, o a chi per esso.Quindi “Ulisse” prende in mano l’arco, cominciando ad esaminarlo e a palparlo accuratamente, tanto che due giovani commentano:

Certo costui era un esperto, un uomo pratico d’archi.
E forse anche lui possiede archi simili in casa (XXI, 397-398)

Chiaramente, nessuno a Itaca aveva mai visto un arco di quel tipo: probabile quindi che Filottete se lo fosse portato dietro da casa. Magari era stato nascosto tra i cosiddetti doni che Menelao aveva fatto a Telemaco: in effetti, quando Penelope lo prende per portarlo nella sala, lo estrae dalla sua custodia, che stava a sua volta in mezzo alle arche contenenti le vesti. Quindi è plausibile che nessuno l’avesse visto mentre veniva introdotto nella reggia. Ma è possibile che un gruppo di baldi giovani in pieno vigore fosse così smidollato da non riuscire a tendere la corda di un arco? Siamo alle prese con un altro intervento divino? Qui probabilmente ci troviamo di fronte a un equivoco interpretativo di natura tecnica, che può essere risolto solo conoscendo alcuni fondamentali particolari costruttivi degli archi antichi. Chi non ha pratica della materia è portato a pensare che un arco sia soltanto un pezzo di legno ricurvo con una corda tesa alle estremità. In realtà, fin dalla remota antichità, esistevano degli archi molto più complessi, costituiti di legno e corno animale, così come descritto da Omero. Ma non solo: la corda veniva tesa tra le due estremità attraverso un movimento complicato, che consisteva nel tendere con forza, aiutandosi col ginocchio per fare leva, l’arco stesso in senso INVERSO rispetto alla sua curvatura naturale nella posizione di riposo. A quel punto l’arciere infilava la corda, già preparata con due cappi alle estremità, in due scanalature presenti alle estremità dell’arco stesso. Si otteneva così un’arma dalla tensione e dalla portata notevole. Naturalmente una simile operazione poteva essere espletata correttamente solo da un individuo ben addestrato, e non da dei ragazzotti, è il caso di dirlo, “alle prime armi”. Oltretutto tale tipo di arco non poteva essere tenuto perennemente in tensione, dato che nel giro di pochi giorni avrebbe perso gran parte della sua elasticità e potenza. Se poi davvero si fosse trattato dell’arco di Ulisse, rimasto lì ad ammuffire per vent’anni, avrebbe potuto "strage-dei-proci"spezzarsi dopo pochi tiri: un rischio, ovviamente, che non si poteva correre; Omero lo sa bene, e infatti racconta che il suo protagonista osserva con cura l’arma, per controllare che non sia intaccata dai tarli. Certo, se davvero fosse stata tarlata, tutta la terribile “vendetta” di Ulisse sarebbe sprofondata nel ridicolo. Quindi bisogna pensare che l’arco fosse un attrezzo in piena efficienza, e fosse stato introdotto di soppiatto. Ecco dunque che anche questa scena, esaminata con la dovuta attenzione, perde il suo carattere miracoloso per diventare estremamente realistica.
E ora Filottete tende la corda dell’arco, prende la mira, scaglia la freccia e infila al primo colpo gli anelli delle dodici scuri, tra lo stupore generale. E Telemaco gli si mette accanto armato di tutto punto: è tempo di cambiare bersaglio.

Come si vede nella foto, le tacche dove andrebbe inserita la corda si trovano ora nel lato INTERNO dell’arco in posizione di riposo, ma verrebbero a trovarsi correttamente all’esterno una volta compiuta correttamente l’operazione di ribaltamento. Questi nell’immagine sono al museo medioevale di Bologna, sono archi turchi del XVII secolo, ma comunque la tecnologia è rimasta immutata da millenni.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.