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"IMG_0073"Anche stamattina il Teatro Petruzzelli pullulava di pubblico giunto per accogliere la masterclass del regista Pupi Avati. Già premiato ieri sera con il riconoscimento Federico Fellini Platinum Award del Bif&est 2017 (“Sono orgoglioso di ricevere questo premio -ha detto durante la serata- non è un premio come tanti. Lo ricevo, poi, in questa città che ha un’ energia incredibile, tra l’altro mia madre era molto legata a questa cittá. Ha visto qui per la prima volta il mare, ha assaporato sapori pugliesi…ci portiamo Bari nel cuore!”), il regista emiliano ha divertito e commosso chi attento ha ascoltato i suoi racconti legati alla sfera privata e a quella lavorativa.

“Oggi vorrei parlarvi soprattutto di felicità, perché ognuno di noi ha mille ragioni per soffrire ma anche di sperare che la nostra vita possa cambiare, che un giorno potremo essere felici, a qualsiasi età. Io, ad esempio, tutte le sere scrivo il mio discorso di accettazione dell’Oscar, tutto in inglese, conciso ma perfetto, sicuramente il miglior discorso mai pronunciato. In questa spudoratezza del sogno, si riesce a sopravvivere alle ingiustizie”. Così ha esordito Avati, introdotto da Enrico Magrelli, per poi lasciare da parte l’argomento ‘felicità’ e dedicarsi al racconto, intimo e ironico allo stesso tempo, di alcune storie che hanno caratterizzato la sua esistenza.

È partito da quando, ragazzo di provincia, timido, complessato e non simpatico scoprì che attraverso la musica, in particolare il jazz, poteva finalmente conquistare le tanto agognate ragazze. “Mi sono sempre piaciute le belle donne e presto capii che la musica poteva essere un modo per risultare interessante e allora mi appassionai al jazz, una delle musiche più innovative del xx secolo.”
Così un giorno si rese conto che il clarinetto gli piaceva di più e che attraverso lo strumento poteva realizzarsi.
“Diventai il più bravo clarinettista di Bologna, ero entrato in un’orchestra formata perlopiù da ginecologi che faceva molte tournee, anche all’estero. Un giorno, però, il capo dei ginecologi mi affiancò un altro clarinettista, un piccoletto brutto e che suonava da schifo ma che sera dopo sera seppe progredire fino a diventare più bravo di me. Allora io non contai più niente, cominciai a pensare di non suonare più, ma iniziai anche a odiare quel ragazzo che un giorno portai in cima alla Sagrada Familia di Barcellona, pensando di buttarlo giù. Si chiamava Lucio Dalla e quando finì la nostra competitività, negli anni diventammo grandi amici, ha scritto anche le colonne sonore di due miei film.”"IMG_0076"

Tornando alle belle donne, poi, ci tiene a raccontare una storia che risale alla sua giovinezza: “Una sera vidi una donna bellissima, feci di tutto per conoscerla, poi mi capitò l’occasione di accompagnarla a casa. Non riuscivo a dire nulla a parte chiederle dove abitasse. Poi il nulla. Cercavo un illuminazione, speravo che qualcuno dall’alto potesse suggerirmi una frase. Niente. Poi ad un tratto mi venne l’idea, le dissi che era il mio compleanno e che tutti, mia madre compresa, avevano dimenticato di farmi gli auguri. Ecco come ottenni il suo primo bacio, mentendo, accattonaggio puro! Con quella donna sono sposato da ormai 52 anni!”.

Passa, poi, in rassegna, alcune delle storie e dei volti dei grandi professionisti che ha incontrato.
“Potrei raccontarvi di come ho scelto Katia Ricciarelli per ‘La seconda notte di nozze’; durante un pranzo con mio fratello Antonio e Maurizio Nichetti, che avrebbe dovuto dirigere il film, eravamo praticamente ubriachi e spuntò fuori il suo nome. Non aveva mai recitato ma io mi dissi ‘Se aveva sposato Pippo Baudo potrà pure fare anche la vedova!”. I primi giorni sul set furono un disastro ma poi entrò talmente bene nella parte che vinse il Nastro d’Argento come migliore attrice protagonista.”

E ancora racconta su Vittorio De Sica: “Doveva dirigere un film su Rodolfo Valentino che poi fece Ken Russell e il produttore, che era il regista Sandro Bolchi, mi chiese se potevo fargli da aiuto regista, dal momento che era già malato. Andai ad incontrarlo, mi presentai e lui mi chiese di dov’ero. ‘Di Bologna, risposi’. ‘Allora va benissimo’, disse lui. Tutto qui. Fu la prima e ultima volta che lo vidi”.

Si alza in piedi e continua il suo accattivante racconto, incantando il pubblico che continua ad applaudire e a divertirsi scoprendo verità della vita di Pupi Avati.
“Sul set del mio secondo film, ‘Thomas e gli indemoniati’ –continua- un giorno si presentò sul set una ragazza al posto dell’attrice che avevo scelto dopo circa 200 provini e che era molto differente dalla tipologia cui pensavo per il personaggio. Io la cacciai malamente e lei passò l’intera giornata fuori dalla chiesa sconsacrata dove stavamo girando. Alla fine mi impietosii e le detti il copione, convocandola per il giorno successivo. Quando fu il suo turno, lasciò tutta la troupe a bocca aperta. Vedendola recitare ho visto per la prima volta cosa fosse la verità. Si chiamava ‘Mariangela Melato’”.

“Trasferitomi a Roma da Bologna, volli conoscere Federico Fellini del quale avevo tanto amato ‘8 ½’ e quando mia madre mi disse che abitava vicino casa mia, per tre giorni lo pedinai nelle sue passeggiate finché non trovai il coraggio di avvicinarlo. All’inizio era spaventato, perché si era accorto che lo stavo seguendo, ma poi si sciolse, e chiamando ‘Pupone’ mi abbracciò e finimmo per diventare grandi amici. Mi invitava sempre alle proiezioni private delle copie lavoro dei suoi film, lo fece anche per il suo ultimo ‘La voce della luna’ e ricordo come, durante la proiezione, telefonava più volte a Giulietta Masina per conoscere le nostre reazioni. Per dire come anche un grande come lui, alla fine della sua carriera avesse una dipendenza psicologica dagli altri, noi che comunque avevamo una incredibile venerazione nei suoi confronti che avremmo apprezzato anche due ore di nero!”.

Per quanto riguarda il futuro e i suoi progetti aggiunge: “La vita ha una sua circolarità, si arriva a un certo punto in cui diventa importante ricordare, allora prima si prova nostalgia per la giovinezza e poi per l’infanzia. Io sono in quest’ultima fase, in cui ripenso al cinema che ho tanto amato da bambino, il cinema fantastico con il quale ho poi debuttato e che è tornato a sedurmi. Ho riaperto quindi il cassetto dell’immaginazione e dei racconti che mi facevano i contadini, dominati dalla presenza del Male e dalla paura che suscita. Vorrei, quindi, tornare alle origini e ho scritto un film e una serie su questa matrice”.

 

 

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.